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Banca Mondiale: tecnologia non vuol dire calo dell’occupazione

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Cambiano le tecnologie, cambiano le competenze del personale, cambia il mondo del lavoro: ma non necessariamente calerà l’occupazione. L’osservazione è emersa dal convegno dedicato al World development report 2019 realizzato dalla Banca Mondiale. “In alcuni settori – si legge nello studio – le macchine stanno sostituendo alcuni lavori, in altri stanno migliorando la produttività dei lavoratori mentre in altri ancora, la tecnologia sta creando nuova occupazione, determinando la domanda di nuovi beni e servizi. Questi effetti così discordanti tra loro vanificano le previsioni economiche sulla eventuale perdita di posti di lavoro indotta dal progresso”.

Secondo lo studio “l’impatto della tecnologia alimenta timori e paure, soprattutto tra lavoratori mediamente qualificati impegnati in attività di routine. In realtà, la tecnologia – precisa la World Bank – cambia la domanda di competenze. Dal 2001, la percentuale di occupati in professioni in cui sono necessarie competenze cognitive, non di routine e socio-comportamentali è passata dal 19% al 23% nelle economie emergenti e dal 33% al 41% nelle economie avanzate”.

Sarà il ritmo dell’innovazione e il progressivo calo dei costi della tecnologia a determinare se i nuovi settori e le nuove aree di competenza riusciranno a emergere per compensare il declino dei vecchi settori e delle attività di routine. È chiaro che nelle economie emergenti il fattore determinate secondo cui le imprese sceglieranno di automatizzare la produzione o spostarsi altrove, resta il basso costo del lavoro in relazione al capitale. Secondo lo studio investire nella prima infanzia, ma anche in nutrizione, sanità, protezione e istruzione, “vuol dire gettare solide basi per l’acquisizione futura di competenze cognitive e socio-comportamentali di livello superiore. Dal periodo prenatale fino all’età di 5 anni, la capacità cerebrale di apprendere dall’esperienza è massima. I soggetti che acquisiscono tali capacità nella prima infanzia saranno più idonei ad adattarsi alle eventuali incertezze della vita”.

Gran parte dei bambini che nel 2018 frequentano la scuola primaria – sottolinea la ricerca – “svolgerà un lavoro oggi ancora inesistente. Del resto, persino nei paesi a basso e medio reddito, sono presenti molte figure professionali che fino a 30 anni fa non esistevano; in India, per esempio, circa 4 milioni di persone lavorano come sviluppatori di applicazioni”. Nell’indice sul capitale umano nel 2018 (misura la quantità di capitale umano che un bambino, nella media, nato nel 2018 può aspettarsi di accumulare in futuro) l’Italia è 19esima con 0,77 (prima è Singapore con 0,88, ultimo il Ciad con 0,29).

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