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La crisi della classe media americana

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La vasta maggioranza degli americani si considera ‘classe media’. Nessuno riesce però a mettersi d’accordo su cosa significhi. Richard Reeves, insieme ai colleghi della Brookings Institution, ha catalogato non meno di una dozzina di formule economiche che cercano di definire questa folla variegata più che altro in base a ciò che la gente guadagna ogni anno: reddito familiare tra X e Y; reddito personale che rientra in una qualche percentuale della media nazionale; distanza dalla linea di povertà; e così via. Combinando il tutto, la gamma di chi potrebbe essere considerato come appartenente alla classe media è incredibilmente vasta, incluso chiunque dal barista part-time e single che vive con 13000 dollari all’anno alla coppia benestante che porta a casa 230000 dollari, per arrivare addirittura al 90% delle famiglie americane.

Altri economisti e scienziati sociali estendono i confini di appartenenza a diverse dimensioni, in base a gradi di ricchezza o potere di spesa, stato professionale o livello di istruzione, in quale quartiere si vive o anche sulla presunzione molto americana dell’autodeterminazione, ovvero: se pensi di essere della classe media, lo sei.

“A volte penso che ci siano tante definizioni della classe media quanti sono gli americani che affermano di farne parte”, dice Reeves, membro di Brookings e direttore del ‘Future of the Middle Class Initiative’, che usa una delle sue preferite definizioni non economiche: “fai parte della classe media se hai due frigoriferi. Ne hai uno nuovo in cucina e quello vecchio in garage o nel seminterrato, dove tieni la birra”.

Gli Stati Uniti sono una nazione da classe media, sono stati fondati su ideali da classe media, continua Reeves. E quindi definire se stessi come classe media è, forse paradossalmente, in qualche modo un’aspirazione. “Agli americani non piace l’idea di vedersi come snob, altezzosi, aristocratici, o parte dell’elite”, dice Reeves, un economista che si definisce ‘britannico rinsavito’ e che ha scritto un nuovo libro, Dream Hoarders (‘accumulatori di sogni’, letteralmente, ndr), proprio su quella rarefatta classe superiore americana. “Inoltre alla gente non piace pensare a sé stessi come poveri o addirittura come proletariato. Se gli Stati Uniti hanno una coscienza di classe, quella tende a coincidere più o meno con la classe media”.

Tutto ciò rende le misurazioni più difficili. Se inquadrare la classe media è già abbastanza complicato, è ancora più difficile dire se le circostanze all’interno di questo gruppo siano cambiate. La vita è diventata più dura negli ultimi anni per milioni di persone appartenenti alla classe media. In parole povere: per troppa gente il sogno americano sta svanendo.

Un’affermazione del genere sembra essere in contrasto con i recenti dati economici e perfino con una più lunga tendenza storica. Tra il 2013 e il 2016, dopotutto, il reddito medio per le famiglie degli Stati Uniti è cresciuto del 10%, secondo il Survey of consumer finance spesso citato dal board della Federal Reserve. Il tasso di disoccupazione, nel frattempo, è al livello più basso dal 1969 – l’anno dello sbarco sulla luna – mentre il settore privato ha generato circa 20 milioni di nuovi posti di lavoro dal 2010. Anche i salari stanno iniziando a risalire dopo un lungo periodo di stagnazione. Tutti segnali davvero buoni, no?

Eppure, recentemente, quasi per ogni entusiasmante dato economico c’è un asterisco: una nota a piè di pagina che fa pensare a un enorme e forse in crescita sottoinsieme di americani che viene lasciato fuori dalla pista da ballo. Partiamo dalle basi: i salari. Per i dipendenti, i guadagni orari medi hanno toccato circa 23 dollari a novembre – un numero che, secondo i dati del Pew Research center, dà ai lavoratori di oggi un potere d’acquisto leggermente inferiore rispetto a quello di chi lavorava nel gennaio 1973, una volta che si aggiusti il dato all’inflazione (23,68 in dollari del 2018).

Per anni, la società CareerBuilder ha condotto, tramite un sondaggio Harris, una vasta indagine sui lavoratori statunitensi in tutto il panorama aziendale. Nel 2017, un incredibile 40% dei quasi 3500 intervistati ha dichiarato che sempre o quasi faticano ad arrivare a fine mese, un livello superiore di quattro punti percentuali rispetto al sondaggio del 2013 della compagnia.

Tali dati sono in parte spiegati da recenti ricerche della Federal Reserve di New York, che mette in luce 13.500 mld di dollari in cambiali che le famiglie hanno tenuto chiuse nel cassetto. A settembre, i saldi complessivi del debito delle famiglie sono saliti per il 17esimo trimestre consecutivo, con il debito ora superiore di 800 mld al suo picco precedente nel 2008. Il sito per il confronto dei prestiti LendingTree, attingendo ai dati della Federal Reserve, riporta che in confronto al reddito disponibile, il debito non legato all’alloggio degli americani è il più alto da quando la misurazione è iniziata mezzo secolo fa. Collettivamente parlando l’impressionante debito dei consumatori, dice il sito, è equivalente a oltre il 26% del loro reddito.

Con i tassi di interesse bassi, questo peso è ancora un semplice pizzico per molti, piuttosto che un morso, ma a differenza del debito federale alle stelle, questo tipo di obbligo continuativo nel tempo è comunque fastidiosamente personale, con i suoi promemoria in arrivo nella posta mese dopo mese. A dicembre, il sito di personal finance NerdWallet ha riportato che i saldi medi delle carte di credito revolving per famiglie con debito – la cifra che indica il dovuto e che si trascina di fattura in fattura – sono arrivati a 6929 dollari.

Anche chi non ha un gigantesco debito in eccesso sulla carta di credito, o un enorme prestito studentesco a carico, si trova ogni mese di fronte alla sfida di costi a carico ricorrenti. Il costo dell’assicurazione sanitaria e dell’assistenza medica sono aumentati molto più velocemente di quanto abbiano fatto gli stipendi. Negli ultimi dieci anni, i costi extra per i lavoratori derivanti da franchigie assicurative superiori sono aumentati otto volte in più di quanto abbiano fatto i salari, osserva la Kaiser family foundation. Nel 2017 più di un quarto degli adulti ha fatto a meno di cure mediche necessarie perché non potevano permetterselo, secondo la Fed.

Sì, i costi degli immobili a livello nazionale si sono abbassati – ma, e questo è importante, non nei luoghi dove ci sono i posti di lavoro. Vuoi lavorare per una startup della Silicon Valley o una ditta di biotecnologie a Boston? Sei affittuari su dieci che guadagnano fino a 75000 dollari all’anno spenderanno più del 30% del loro reddito per un affitto a San Jose; la stessa cosa per quattro affittuari su dieci a Boston, secondo il Joint center di Harvard per gli studi abitativi.

Qui, negli alloggi, nella sanità e anche nel costo del college, è dove la super-inflazione colpisce più duramente una quota significativa della nazione. “Ed è abbastanza difficile trovare tre fattori che definiscano lo standard di vita della classe media più accuratamente che il potersi permettere una casa, o essere in grado di mandare i tuoi figli all’università, o poter coprire i costi dell’assistenza sanitaria nel caso si ammalasse qualcuno in famiglia”, secondo Reeves. Questo divario tripartito, in particolare, potrebbe essere ciò che ha convinto molti giovani americani del fatto che non raggiungeranno quella pietra miliare fondamentale del Grande sogno americano – il poter vivere meglio dei propri genitori. Secondo un recente sondaggio di Associated Press e Centro Norc per la ricerca sugli affari pubblici, solo metà dei ragazzi tra i 15 e i 26 anni pensa di riuscirci.

L’economista di Harvard Raj Chetty è autore di alcuni dei lavori più acclamati su questo declino storico. Nel 2016, Chetty e i suoi colleghi hanno dimostrato che, tenendo in considerazione l’inflazione, meno della metà dei nati negli anni ‘80 aveva guadagnato più di quanto avessero fatto i loro genitori alla stessa età. Al contrario, tra i nati nel 1940, oltre il 90% aveva compiuto l’impresa. “Possiamo vedere che c’è stato un crollo della mobilità inter-generazionale”, dice Claudia Goldin, una importante economista del lavoro di Harvard.

Fa tutto parte della sensazione di milioni di americani di rimanere indietro – una impressione resa ancora più frustrante dalla consapevolezza che il divario tra la classe media e i super ricchi continua ad allargarsi, che le leggi della gravità dell’economia sembrano non essere più applicabili.

Una situazione aggravata da un’altra assillante preoccupazione: che la velocità sfrenata del cambiamento tecnologico che sta distruggendo un settore dopo l’altro – la rivoluzione di un’automazione intrisa di intelligenza artificiale – sradicherà l’unica cosa che, secondo Pew, praticamente tutti indicano come criterio necessario per l’appartenenza alla classe media: un lavoro sicuro. Naturalmente, tutte le rivoluzioni industriali di ogni epoca hanno sollevato le stesse paure. Reeves pensa che “una buona posizione di partenza sia l’essere scettici sull’affermazione che questa volta sia diverso”. Ma le due cose che vale la pena chiedersi riguardo la rivoluzione attuale, dice, sono: “Uno, avverrà in maniera diversamente veloce stavolta? E due, sarà ‘diversamente diverso’?”.

È la domanda numero 1 che lo rende un po’ nervoso: sì, certo, con ogni grande rinnovamento dell’automazione, i modelli di business cambiano e nuove posizioni vengono create, e c’è un tempo di transizione tra loro. “Quindi sicuramente l’economia si adeguerà e verranno creati nuovi posti di lavoro”, dice Reeves, “ma saranno quelle persone che sono state dismesse a ottenere i nuovi lavori? E li otterranno abbastanza velocemente? Non stiamo parlando di 20,

30, 40, 50 anni di transizione tra l’approccio A e l’approccio B. Parliamo di due, tre anni. Ciò significa che le persone hanno bisogno di addestrarsi e riorganizzarsi ad un ritmo mai visto prima nella storia umana”.

Qualcosa del genere, dice Reeves, sarebbe simile a una mobilitazione durante la guerra. Così sia allora: molti americani si sentono come se già ne affrontassero una.

Inchiesta di Clifton Leaf apparsa sul numero di Fortune Italia di febbraio 2019.

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