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Il piano ArcelorMittal per ‘dimezzare’ Ilva

Quasi cinquemila esuberi e un taglio della produzione rispetto a quanto già previsto. Ora il nuovo piano di ArcelorMittal per l’ex Ilva è scritto nero su bianco. Le intenzioni erano già evidenti e il passaggio di oggi non fa che confermare lo schema del negoziato impostato dall’amministratore delegato Lucia Morselli: la minaccia di abbandonare Taranto, lo scontro che rischia di sconfinare sul piano legale, ora la trattativa su numeri che descrivono meglio l’obiettivo finale: ridimensionare l’acciaieria, facendo pagare il conto ai lavoratori. “Un progetto di chiusura nel tempo”, nella sintesi del leader Cgil Maurizio Landini. Quanto meno, la strada più rapida per ‘dimezzare’ l’ex Ilva.

I livelli occupazionali si ridurranno di 2891 unità già nel 2020. A questi, nel 2023, se ne aggiungeranno altri circa 1.800: sono gli addetti attualmente in carico all’amministrazione straordinaria e che, in base all’accordo del 6 settembre 2018, a fine piano dovevano essere riassorbiti. Il totale fa 4700 esuberi. L’aumento dei volumi di produzione dagli attuali 4,5 milioni di tonnellate di acciaio ai 6 milioni dal 2021 sono un passo indietro rispetto al piano industriale originario presentato da ArcelorMittal ai commissari straordinari per vincere la gara per l’acquisizione dell’Ilva: la produzione di acciaio doveva raggiungere i 6 milioni di tonnellate nel 2020, mentre a fine piano 2023 si dovevano superare gli 8 milioni di tonnellate prodotti dagli altiforni. La produzione poteva poi aumentare a 10 milioni di tonnellate usando forni elettrici.

Ma di quel piano e di quello schema oggi resta poco. Il governo, con il ministro dello Sviluppo Economico, Stefano Patuanelli, non nasconde la delusione. “L’azienda invece di fare un passo avanti ha fatto qualche passo indietro, ricominciando a parlare di 4.700 esuberi alla fine del nuovo piano industriale, che prevede comunque un forno elettrico e una produzione finale di 6 milioni di tonnellate. Questa non è l’idea che ha il Governo sullo stabilimento. Riteniamo che la produzione a fine piano debba essere più alta, arrivando almeno ad 8 milioni di tonnellate”. Anche perché lo Stato sarebbe pronto a fare la sua parte. “Noi vogliamo far diventare lo stabilimento Ilva all’avanguardia nella produzione siderurgia europea. Su questo lo Stato, il governo, è disponibile a investire, ad essere presente, a partecipare e accompagnare l’azienda a questo percorso di transizione. Su queste basi siamo disponibili e ci sembrava che ci fosse una disponibilità dell’azienda che oggi non ho trovato nel piano illustrato”, evidenzia Patuanelli.

Altrettanto netta la bocciatura da parte dei sindacati, che respingono il piano ritenendo inaccettabili gli esuberi e proclamano lo sciopero dei lavoratori ex Ilva, con una manifestazione nazionale a Roma, il 10 dicembre. Quello presentato al Mise da Arcelor Mittal Italia “non è un piano industriale: è un progetto di chiusura nel tempo di Taranto e di Ilva”, dice il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, al termine dell’incontro al Mise. “Abbiamo un accordo firmato un anno fa che prevede investimenti, 8 milioni di tonnellate di acciaio da produrre e quella è la base da cui partire. Per noi la discussione è possibile se si parte dall’accordo che abbiamo firmato”. Altrettanto tranchant, il leader Cisl Anna Maria Furlan: “Sul tavolo ci sono complessivamente 6300 esuberi tra nuovi e vecchi”. Una base inaccettabile: “Per noi non esiste alcuna possibilità di aprire una discussione di merito se la proposta dell’azienda rimane questa”. Quello dell’azienda è un piano che “parla solo di esuberi e diminuzione della produzione”, aggiunge il segretario della Uil Carmelo Barbagallo.

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