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Colori, semafori e batterie: la battaglia delle etichette alimentari

La sfida sulle etichette alimentari tra il Nutri-Score francese e il NutrInform battery italiano determinerà le diete di milioni di europei. E per il made in Italy, secondo Federalimentare, un’etichetta sbagliata rappresenta una minaccia più grave di quella dei dazi commerciali. Articolo di Alessandro Pulcini apparso sul numero di Fortune Italia di giugno 2020.

Il 20 maggio la Commissione europea ha presentato la strategia Farm to fork, parte del Green Deal europeo. La proposta della Commissione delinea, insieme a quella gemella dedicata alla biodiversità, il futuro del settore agroalimentare europeo all’interno della più ampia strategia per la sostenibilità del Continente. Tra gli obiettivi della Commissione c’è una forte riduzione dei fitofarmaci, dei fertilizzanti, degli antibiotici per l’allevamento, l’aumento dei terreni dedicati al biologico. E c’è “l’armonizzazione” delle etichette sui prodotti alimentari, ovvero l’indicazione dei valori nutrizionali dei prodotti consumati dagli europei. Questo ultimo punto è quello che sta generando più allarmi in Italia, che nell’alimentare vede il suo secondo settore manifatturiero per incassi, a più di 140 mld, con l’export a rivestire un ruolo fondamentale e negli ultimi anni costantemente in crescita.

Gli indizi della Commissione

 

Nel suo report ufficiale sulle dichiarazioni nutrizionali fronte pacco, rilasciato a corredo del Farm to fork, la Commissione non ha esplicitamente indicato il suo sistema di etichettatura preferito. Lo ha detto lo stesso Commissario europeo per la salute e la sicurezza alimentare, Stella Kyriakides, all’Ansa: “Al momento non raccomandiamo nessun tipo specifico (…) lanceremo una valutazione di impatto sui differenti tipi disponibili, e ne discuteremo con le categorie interessate”. Il report, però, qualche indizio sulle preferenze di Bruxelles lo dà. E fornisce comunque un’utile categorizzazione: da una parte ci sono le etichette definite ‘nutrient specific’, quelle più dettagliate, tra cui l’italiana NutrInform, ovvero l’etichetta a ‘batteria’. Dall’altro ci sono le etichette ‘sintetiche’, tra cui il Nutri-Score francese. Quest’ultimo sembra favorito nella corsa che determinerà l’alimentazione dei cittadini europei, una corsa che si potrebbe concludere con una proposta nel 2022. Nello stesso report infatti le etichette con indicatori sintetici, come il Nutri-Score, sembrano essere ritenute più comprensibili per i consumatori: “Gli studi dimostrano che la maggior parte delle etichette ha un effetto positivo sulla capacità dei consumatori di identificare alimenti più salutari rispetto a situazioni di assenza di etichette, e che la comprensione che i consumatori hanno delle etichette migliora in presenza di codice cromatico, soprattutto quando ai colori è abbinato un indicatore sintetico”. L’etichetta a colori promossa dalla Francia e respinta dall’Italia, sostenuta anche da multinazionali come Nestlé e Danone, sembra quindi partire in vantaggio: dal punto di vista delle tempistiche è sicuramente così. La Francia l’ha adottata già nell’ottobre 2017, “dopo una serie di studi sperimentali e su larga scala”, dice il report della Commissione. Il Nutri-Score cerca di indicare con una sola lettera (e un solo colore) la qualità nutrizionale complessiva di un determinato prodotto alimentare. L’etichetta infatti è rappresentata da una scala di cinque colori, dal verde scuro che indica i prodotti con la più alta qualità nutrizionale all’arancio scuro per i prodotti con una qualità nutrizionale inferiore, associati alle lettere dalla A alla E. L’algoritmo per calcolare il punteggio nutrizionale considera sia gli elementi considerati negativi (zuccheri, grassi saturi, sale e calorie) sia quelli positivi (proteine, fibre, frutta, verdura, legumi e noci). Anche il Belgio ha adottato il Nutri-Score, l’anno scorso. Nel marzo 2020 la Germania ha notificato alla Commissione un progetto per l’implementazione del Nutri-Score, e anche Spagna, Paesi Bassi e Lussemburgo hanno annunciato la decisione di adottarlo, dice la Commissione.

 

Anche l’originale sistema ‘a semaforo’ (a volte ci si riferisce così anche al Nutri-Score, nonostante utilizzi cinque colori, non tre) può contare su un’esperienza di anni, per quanto sembri improbabile che venga preferito al sistema francese. Il Regno Unito lo ha formalmente introdotto nel 2013, anche in questo caso “dopo diversi anni di ricerca e consultazione delle parti interessate”, si legge nel report della Commissione. Lo schema combina il sistema dei colori alle quantità di nutrienti. Fornisce informazioni sul contenuto di grassi, grassi saturi, zuccheri e sale con i colori, che sono usati per classificare la quantità di quei nutrienti come ‘bassa’ (verde), ‘media’ (giallo-arancione) o ‘alta’ (rosso); le soglie di colore si basano sulla quantità di riferimento di 100 g. A differenza di questi due sistemi, quello italiano ‘a batteria’ è arrivato alla Commissione dal Governo italiano nel gennaio 2020, si legge ancora nel report, e “non è ancora presente nel mercato Ue”. Inoltre, lo schema NutrInform Battery non fa riferimento a una quantità standard come i 100 grammi, ma solo alla singola porzione che si sta acquistando. E leggendo le parole della Commissione (che nel rapporto cita l’opinione, in proposito, del Comitato europeo delle regioni), si ha l’impressione che usare 100 grammi come quantità di riferimento sia ritenuto un sistema più chiaro per i consumatori.

Un attacco al Made in Italy?

 

L’Italia, effettivamente, “è arrivata all’ultimo minuto, e credo che la Commissione non abbia neanche avuto il tempo di approfondire la proposta italiana” sulle etichette alimentari, dice il presidente di Federalimentare, Ivano Vacondio. Ora si sta cercando di recuperare il tempo perso, perché l’adozione a livello europeo di un sistema come il Nutri-Score “è un grandissimo rischio per il Made in Italy e per la dieta mediterranea”. Il concetto per Vacondio è semplice: “Non esistono singoli alimenti dannosi alla salute, lo diventano in base all’utilizzo che se ne fa. “Io penso che dietro questo discorso del Nutri-Score e al discorso dei ‘semafori’ ci sia una grande battaglia di marketing, nata dal momento che i prodotti dell’industria alimentare italiana sono sempre più riconosciuti come vere e proprie eccellenze. Abbiamo rubato molto mercato agli altri. Abbiamo aumentato l’export del 90% negli ultimi 10 anni”. Il Coronavirus, in Italia, ha rallentato un settore che prima dell’emergenza sembrava inarrestabile. “Avevamo davanti un’autostrada, che adesso si è ristretta”.

 

Per far capire quanto sia grave la “minaccia”, il presidente di Federalimentare fa un esempio: sono meno pericolosi i dazi degli americani che le etichette alimentari dei francesi, dice Vacondio. “Il cliente straniero che compra il prodotto italiano, che sia americano o francese o tedesco, spesso lo compra non perché ha fame, ma perché fa status. Oggi il Made in Italy è così”. Il prezzo può essere “un problema importante, non voglio dire che non lo sia. Ma è meno importante che non trovarsi un bollino rosso su una confezione, a indicare che quel prodotto è dannoso per la salute”. Diventa un tipo di messaggio con una forza negativa simile a quella dei pacchetti di sigarette, “e il bollino rosso dà questa impressione. Per questo ritengo che sia una grave minaccia per le nostre opportunità sui mercati esteri”. Collegare un problema come l’obesità con il singolo prodotto è scientificamente “folle”, ma “emotivamente”, cioè dal punto di vista della comunicazione, spiega Vacondio, “fa presa”.

 

In effetti la Commissione pone l’accento sulla necessità di avere etichette alimentari con una buona efficacia ‘comunicativa’ sui consumatori, che le devono poter leggere con facilità. Le critiche italiane non contestano tanto questo punto, ma la stessa validità scientifica alla base del sistema francese. Secondo Luca Piretta, gastroenterologo e nutrizionista dell’università Campus biomedico di Roma, il punteggio che regola il Nutri-Score è “assolutamente arbitrario, non dettato da evidenze scientifiche”. Il sistema francese calcola il punteggio totale di un prodotto sulla base di valori considerati negativi e alcuni positivi: questi ultimi vengono “scelti arbitrariamente. I polifenoli ad esempio non vengono presi in considerazione”, dice Piretta. Ma passare da una lettera all’altra, da un colore all’altro, seguirebbe dei “range di punteggio assolutamente bizzarri”: basta totalizzare 3 punti invece di 2 per passare dalla B verde chiaro alla C gialla. Una lettera di differenza quindi, esattamente la stessa che passa tra un prodotto che ha punteggio 3 e uno che ha 18, che ottengono rispettivamente C e D. I “fattori di correzione” del Nutri-Score, poi, a “voler essere maliziosi”, secondo il medico sembrerebbero costruiti per spostare i colori a favore dei prodotti francesi che, senza correzioni ad hoc, sarebbero altrimenti penalizzati. Per cui, secondo Piretta, il Camembert sarebbe favorito dal fatto che al di sopra di una certa quantità nell’etichetta francese i grassi non si contano più, mentre il Parmigiano sarebbe svantaggiato dal fatto che un criterio simile viene utilizzato anche per il conteggio delle proteine, di cui il formaggio italiano è molto ricco. Gli italiani contestano anche la quantità di riferimento, che il Nutri-Score ha fissato a 100 g a prescindere dall’alimento: questo punirebbe severamente condimenti come l’olio d’oliva e il Parmigiano.

Le speranze italiane sulle etichette alimentari

 

L’etichetta a batteria indica, sia attraverso dati, sia attraverso la grafica, la quantità di calorie, zuccheri, sale, grassi e grassi saturi contenuti in una porzione di prodotto e la loro percentuale rispetto al fabbisogno quotidiano. Lo schema è stato sviluppato in due anni dal lavoro di quattro ministeri (Esteri, Salute, Agricoltura e Sviluppo economico) con associazioni di agricoltori, produttori, distributori e consumatori, più due enti scientifici: l’Istituto Superiore di Sanità e il Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria (Crea). La differenza rispetto alle altre etichette non si trova solo nella scelta grafica: secondo Federalimentare, mentre gli altri sistemi europei (dal Nutri-Score al semaforo anglosassone, fino al Key Hole scandinavo) classificano i cibi in sani e non sani indipendentemente dal loro rapporto con una dieta equilibrata, il sistema italiano tiene in considerazione tutta la corretta alimentazione giornaliera di un individuo. Vacondio dice che Federalimentare ora sta lavorando alla creazione di un’app, “che sarà pronta a settembre, che fotografa l’etichetta, somma i valori e dice quando si è arrivati al limite giornaliero dei singoli valori nutrizionali”. Al di là dei ritardi, dice il presidente (il decreto interministeriale italiano è stato notificato alla Commissione a fine gennaio), adesso la proposta c’è, e l’Europa dovrà decidere quale delle opzioni a disposizione scegliere, o come arrivare a una via di mezzo. “Federalimentare è disponibile a un compromesso ma non può accettare i bollini, la colpevolizzazione del singolo prodotto. È chiaro che è una battaglia in cui sarà importante trovare degli alleati”, dice Vacondio. Ma “credo che per quello che rappresenta l’Italia a livello internazionale dal punto di vista del mercato alimentare, sarà difficile per l’Europa prendere una posizione che sia contro l’Italia”.

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