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Palazzo londinese del Vaticano, ordine d’arresto per il broker Torzi

Nuovi guai con la giustizia per Gianluigi Torzi, il broker e imprenditore di origini molisane già sotto indagine da parte dell’autorità giudiziaria della Santa Sede, che gli contesta profitti illeciti per 15 mln, per il ruolo svolto nell’acquisto dell’immobile di Sloane Avenue a Londra con fondi del Vaticano, un affare da oltre 300 mln di euro. Su richiesta della Procura di Roma, il gip Corrado Cappiello ha emesso nei suoi confronti un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per i reati di autoriciclaggio ed emissione di fatture per operazioni inesistenti. I militari del Comando provinciale della Guardia di Finanza di Roma non hanno ancora potuto eseguire l’arresto, perché al momento Torzi si trova a Londra. A quanto si apprende, la procura di Roma ha già provveduto ad emettere un mandato di cattura internazionale, attivando i canali di cooperazione giudiziaria internazionale nei confronti delle autorità britanniche.

Il gip ha anche disposto la misura interdittiva del divieto di esercitare la professione di commercialista o uffici direttivi di imprese per la durata di 6 mesi nei confronti di Giacomo Capizzi, amministratore della società Meti Capital (secondo gli inquirenti riconducibile a Torzi) e i commercialisti Alfredo Camalò e Matteo Del Sette, tutti indagati, a vario titolo, per emissione e annotazione di fatture per operazioni inesistenti. “Allarmante – scrive al riguardo il gip – è la facilità con cui Gianluigi Torzi e i suoi collaboratori siano riusciti a organizzare le operazioni fraudolente, individuando e sostituendo in brevissimo tempo le società da utilizzare per l’emissione e l’utilizzo delle fatture false, necessarie per riscuotere un cospicuo credito personale, celato da fittizi contratti di consulenza”.

In base alle indagini delegate dalla Procura di Roma alle Fiamme Gialle, dopo la richiesta di assistenza giudiziaria formulata dal Promotore di Giustizia dello Stato della Città del Vaticano, i finanzieri del Nucleo di polizia economico-finanziaria di Roma sono riusciti a ricostruire il percorso di parte della somma che le autorità della Santa Sede contestano a Torzi. Secondo l’autorità giudiziaria vaticana, il broker avrebbe ottenuto un profitto illecito di 15 mln, frutto di una presunta estorsione alla Segreteria di Stato per la cessione di mille azioni con diritto di voto della Gutt Sa (la società di intermediazione riconducibile a Torzi che gestiva l’immobile di Londra acquistato con fondi del Vaticano nel 2014) a fronte dell’emissione di fatture per operazioni inesistenti da parte delle società inglesi Sunset Enterprise Ltd (5 mln) e Lighthouse Group Investment Unlimited (10 mln), anch’esse riconducibili a Torzi. Una manovra necessaria, secondo la ricostruzione dell’autorità giudiziaria della Santa Sede, a consentire al Vaticano di ottenere la piena disponibilità dell’immobile dopo che il broker aveva ceduto alla Santa Sede 30mila azioni senza diritto di voto della Gutt Sa, mantenendo quelle con diritto di voto, in violazione di quanto pattuito.

La Guardia di finanza ha accertato che parte dei 15 mln bonificati alle due società inglesi dell’imprenditore molisano, pari a 4,5 mln, sarebbe stata impiegata nel 2019 per l’acquisto di azioni di società quotate nella borsa italiana (B.F. Spa, Marzocchi Pompe Spa e Mediaset), operazione che in pochi mesi gli avrebbe permesso di conseguire un guadagno di oltre 750mila euro, 670mila dei quali usati per ripianare il debito di altre due sue aziende italiane. Le Fiamme Gialle hanno anche ricostruito un giro di false fatturazioni – non collegato all’operazione immobiliare londinese – che Torzi, insieme a Capizzi e ai due commercialisti di riferimento del gruppo di imprese italiane ed estere riconducibili al broker, Camalò e Del Sette, avrebbe realizzato, si legge in una nota, “senza alcuna giustificazione commerciale e al solo scopo di frodare il Fisco”.

L’indagine sull’immobile londinese, da cui deriva quella sul presunto autoriciclaggio che ha portato all’emissione della misura cautelare di oggi, prende avvio da due denunce presentate dallo Ior e dal Revisore Generale dei Conti del Vaticano, rispettivamente nel luglio e nell’agosto 2019. Due le fasi cruciali che scandiscono la vicenda. La prima risale al 2014, e riguarda la sottoscrizione da parte della Segreteria di Stato del fondo Athena Capital Global Opportunities Fund, gestito da una Sicav facente capo a Raffaele Mincione e proprietario del palazzo londinese in Sloan Avenue. La seconda si svolge tra la fine del 2018 e la prima metà del 2019, quando la Segreteria di Stato cerca di ottenere la disponibilità del palazzo londinese liquidando le quote del fondo di Mincione con 40 mln per poi subire, secondo la ricostruzione delle autorità vaticane, le presunte azioni estorsive di Torzi, entrato nell’affare in veste di intermediario.

Quest’ultimo filone d’indagine, scrive il gip nell’ordinanza, nasce “da una denuncia del Direttore Generale dell’Istituto per le Opere di Religione, a seguito di una lettera presentata il 4.06.2019 dalla Segreteria di Stato della Santa Sede, avente ad oggetto una richiesta di finanziamento, per un importo di 150 milioni di euro, motivata da non meglio precisate ‘ragioni istituzionali’”. I successivi controlli, continua il gip, “hanno evidenziato che la richiesta di finanziamento era prodromica all’estinzione, per il tramite dello studio legale inglese Mischon De Reya, di un mutuo acceso su di un immobile sito in Londra, 60 Sloane Avenue, di proprietà della società off-shore 60 SA Limited, acquistata in data 2.05.2019 dalla Segreteria di Stato e ceduta dalla società di diritto lussemburghese Gutt Sa».

Dagli accertamenti “svolti dallo Ior – si legge nell’ordinanza – e dall’ufficio dei Revisore dei Conti è emerso che le acquisizioni di immobili a fini di investimento non possono essere compiute dalla Segreteria di Stato, essendo riservate all’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica: inoltre, l’investimento in questione non risulta in nessun documento ufficiale trasmesso dalla Segreteria di Stato al Consiglio dell’Economia e, comunque, la Segreteria di Stato non può impiegare in operazioni ad elevato rischio finanziario i fondi ricevuti per finalità benefiche (Fondo Obolo e fondi Intitolati)”.

Il gip ricorda quindi il mandato di cattura emesso dall’autorità giudiziaria vaticana nei confronti di Torzi il 5 giugno 2020 per varie ipotesi di reato, tra cui quella di estorsione. “In particolare – scrive il gip – dopo aver comunicato l’intenzione di non cedere alla Segreteria di Stato la catena di società detentrici dell’immobile di Londra, 60 Sloane Avenue, da lui detenuta fiduciariamente tramite Gutt Sa, (Torzi, ndr) aveva costretto gli emissari della Segreteria di Stato a corrispondergli l’importo complessivo di 15 milioni di euro”.

Il giudice cita quindi Fabrizio Tirabassi, dipendente della Segreteria di Stato, che ha parlato di “un vero e proprio ricatto” da parte di Torzi, che avrebbe costretto “la Segreteria di Stato a pagare l’importo di 15 milioni di euro (ulteriori rispetto ai 40 milioni di GBP già corrisposti a Mincione Raffaele) come prezzo occulto delle 1.000 azioni con diritto di voto della Gutt Sa necessarie per il trasferimento dell’immobile alla necostituita società”. Nel ricostruire la vicenda, il gip scrive, tra l’altro, che il 15 marzo 2019 monsignor Alberto Perlasca, in qualità di procuratore del Sostituto della Segreteria di Stato, monsignor Edgar Robinson Pena Parra, e Tirabassi arrivarono addirittura a proporre “al Sostituto di prelevare 20 milioni di GBP dal cosiddetto Fondo Discrezionale del Santo Padre per chiudere la transazione con Torzi”.

Per il gip “appare evidente che Gianluigi Torzi, con la collaborazione attiva di prestanome e di tecnici di fiducia, si serva di numerose società, operanti anche all’estero, come schermo per la propria attività imprenditoriale, in gran parte basata sull’elusione fiscale, provvedendo al reimpiego dei proventi illeciti in speculazioni finanziarie”. Secondo il giudice per le indagini preliminari “deve ritenersi assolutamente concreto ed attuale il pericolo di reiterazione di delitti della stessa specie di quelli per cui si procede da parte degli indagati, tenuto conto della natura non occasionale dei reati contestati”.

Una ricostruzione che i difensori di Torzi, gli avvocati Marco Franco e Ambra Giovene, respingono con forza. “Impugneremo questo provvedimento davanti al Riesame”, afferma Giovene, dicendosi “stupita” dall’ordine di arresto. “Si tratta di un provvedimento – spiega – di cui siamo venuti a conoscenza dalla stampa e che riguarda fatti già oggetto del mandato di cattura del Promotore di Giustizia del Vaticano del giugno 2020 e già oggetto di una pronuncia del giudice inglese che ha escluso la ricostruzione formulata dal Promotore di Giustizia. Per noi è sconcertante che ci sia un’ordinanza di custodia cautelare in relazione a fatti sovrapponibili a quelli già oggetto d’indagine da parte dello Stato della Città del Vaticano e già oggetto di una decisione di una corte inglese che ha rigettato la richiesta di sequestro di conti correnti del mio assistito in quanto basata su una ricostruzione non fondata. Adesso quella stessa ricostruzione viene riproposta anche in Italia, con l’aggiunta di ipotesi di reato fiscali”. Lo scorso 24 marzo il giudice inglese Walter Baumgarten, della Crown Court di Southwark, ha annullato il sequestro di conti e asset nei confronti di Torzi in relazione alla presunta estorsione, affermando che non si trattò di un ricatto, ma di una normale “transazione economica”.

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