Non accadeva dal 1997, da quando l’allora speaker repubblicano Newt Gingrich in visita a Taiwan riuscì a mandare su tutte le furie Pechino di Jiang Zemin. Sono passati 25 anni e Nancy Pelosi, speaker della Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti, nella giornata del 2 agosto è atterrata a Taipei, capitale dell’isola taiwanese.
Si tratta di un evento che minaccia di portare con sé gravi ripercussioni sul piano economico, oltre che geopolitico: il viaggio della Pelosi – durato appena 24 ore – viola infatti lo spirito del comunicato di Shangai, che dal 1972 regola i rapporti diplomatici tra Cina e Stati Uniti e non riconosce la sovranità di Taiwan. E le reazioni immediate arrivate da parte della Repubblica Popolare hanno anche condizionato l’andamento delle Borse di tutto il mondo.
Dopo le proteste ufficiali alla Casa Bianca, arrivano i primi segnali di reazione: sono previste esercitazioni militari, i caccia Su-35 attraverseranno fino a domenica lo stretto di Taiwan e come rappresaglia la Cina ha innanzitutto interrotto le importazioni di centinaia di prodotti alimentari taiwanesi.
Come riporta Fortune.com, Mark Liu, presidente di Tmsc (Taiwan Semiconductor Manufacturing Company), la più grande fabbrica indipendente di semiconduttori al mondo, che produce processori per colossi americani come Apple e Qualcomm, ha dichiarato che se la Cina dovesse invadere l’isola, le sue fabbriche di chip (i più avanzati sul mercato) non potrebbero essere operative. Ciò avrebbe inevitabili conseguenze anche sul mercato statunitense ed europeo, dove vengono importati, visto che Taiwan rappresenta uno dei principali hub manifatturieri al mondo.
I maggiori danni, per adesso, sono sul fronte asiatico: il dollaro taiwanese ha toccato il suo valore più basso degli ultimi due anni, i prezzi delle azioni delle principali aziende sono diminuiti e i beni rifugio e i titoli di Stato sono schizzati in maniera quasi vertiginosa.