La crisi dell’energia e gli extra-profitti del pharma

Marco Cattani
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Come fare ‘cassa’ per fronteggiare la crisi dell’energia? Perché non tassare gli extra-profitti accumulati dal pharma italiano in pandemia? La soluzione prospettata in campagna elettorale ha fatto fare – c’è da scommetterci – un salto sulla sedia alle industrie del settore. Che dopo qualche giorno di silenzio e riflessione, hanno preso carta e penna respingendo duramente al mittente la proposta.

“Da diversi giorni si sente incredibilmente parlare dell’urgenza di tassare gli extraprofitti – presunti – dell’industria farmaceutica. Le nostre imprese in questi anni così difficili – ha rivendicato Marcello Cattani, presidente di Farmindustria – hanno sempre dato il massimo per garantire la disponibilità dei farmaci ai cittadini. Non hanno mai fermato la produzione cambiando addirittura, spesso repentinamente, le linee produttive per evitare carenze di medicinali. È così che è stata assicurata la continuità delle cure ai pazienti”.

“E anche in Italia, vero e proprio hub farmaceutico in Europa, sono state sempre in prima linea nella lotta contro Covid, nella ricerca e nella produzione di vaccini e di terapie specifiche che hanno salvato milioni di vite. Contribuendo poi con donazioni di circa 42 milioni di euro totali, compresi i farmaci e i beni (respiratori, dispositivi di protezione individuale, mascherine, gel disinfettante)”.

Nel solo 2020 il lockdown è costato al Paese tredici miliardi di euro al mese di indebitamento pubblico, ha ricordato il presidente di Farmindustria. Vaccinazioni e farmaci hanno evitato che questa somma continuasse a crescere.

“Risultati ottenuti grazie alla partnership aperta e costruttiva con le istituzioni e le autorità sanitarie. Il nostro settore – ha aggiunto Cattani – si confronta oggi in Italia con aumenti dei costi dell’energia del 600% rispetto a un anno fa, con un’inflazione di addirittura l’8,4% e con prezzi al consumo dei farmaci con prescrizione scesi dell’1%. Senza dimenticare la svalutazione dell’euro rispetto al dollaro, valuta con la quale si pagano i principi attivi che provengono per l’80% da Cina e India”.

Non solo: le aziende del pharma continuano a lamentare il peso del payback. “Se di tassazione si deve parlare – ha detto infatti Cattani – ricordiamo quella che deriva dal cosiddetto payback, il ripiano dello sfondamento dei tetti di spesa farmaceutica pubblica palesemente sottostimati, costato sinora miliardi di euro alle imprese. L’industria farmaceutica non trasferisce sui prezzi finali, che sono negoziati e amministrati, l’aumento di questi costi”, ha sottolineato Cattani.

Insomma, il pharma non può rifarsi degli aumenti sui cittadini. “È quanto mai non veritiero e inappropriato parlare quindi di extra-profitti di un settore che nel nostro Paese è un pilastro essenziale per la salute dei cittadini, l’economia e l’occupazione, cresciuta in questi anni di crisi molto più della media (+9% negli ultimi 5 anni rispetto a +1% della media). Ci aspetteremmo piuttosto l’urgente definizione di una strategia nazionale per consolidare e rilanciare l’attrattività della filiera della salute”, ha chiosato il presidente di Farmindustria.

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