Il dilemma etico delle diagnosi genetiche su embrioni

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Le diagnosi prenatali permettono di accertare o di escludere lo sviluppo di alcune malattie prima della nascita di un bambino. Oltre all’utilizzo degli ultrasuoni, esiste la possibilità di effettuare test genici piuttosto precisi, nei casi in cui una grave malattia ereditaria, anche di natura oncologica, sia presente in un membro della famiglia o nella storia familiare di uno dei genitori.

Grazie all’utilizzo di questo strumento è possibile rivelare alcune problematiche a carico dei geni, che potrebbero compromettere la qualità di vita o la sopravvivenza del feto e, quindi, del bambino.

Rilevare se un embrione sia affetto o meno da una malattia ereditaria, da una predisposizione tumorale o da una alterazione cromosomica, e intervenire in una fase prenatale, solleva un aspro dibattito: è etico selezionare un embrione sano e scartarne uno ‘malato’?

Classificare un embrione “di buona qualità” significa, per la scienza, garantire uno sviluppo sano del feto e scongiurare la presenza di una malattia ereditaria, anche su base oncologica, trasmissibile alle generazioni future. Ma fino a dove ci si può spingere?

Se da una parte l’interesse dei genitori è quello di effettuare indagini genetiche per conoscere le probabilità di mettere al mondo un figlio sano, dall’ altra vi sono innumerevoli implicazioni etiche che sorgono nel momento in cui l’embrione “non dovesse” risultare in grado di sopravvivere o si ravvisasse la possibilità di trasmissibilità di malattie genetiche rare o di natura oncologica.

Nel rispetto delle singole vicende e storie personali, la scelta circa la prosecuzione o interruzione della gravidanza dopo una diagnosi prenatale infausta, resta nella sfera di determinazione della coppia genitoriale.

Al netto di questo, va detto che l’analisi degli embrioni che rileva una alterazione genetica può offrire “importanti benefici” nella prevenzione di tumori ereditari, come nel caso della mutazione Brca 1/2 che predispone le donne portatrici a sviluppare il cancro al seno e alle ovaie. In sostanza, si eredita una predisposizione genetica a sviluppare un cancro e a sopportare un rischio pari al 60/80% di ammalarsi nel corso della vita.

Quel che è certo è la difficoltà di operare una pianificazione della genitorialità in questa materia complessa, che coinvolge aspetti etici, emotivi, religiosi e filosofici di enorme rilievo. Ciò che è giusto risiede solo nel cuore e nella formazione culturale di coloro che sono coinvolti nella situazione in cui uno dei due genitori sia portatore di una mutazione genetica e debbano scegliere cosa fare.

Compito della genetica e del test genico invece, è mettere in luce la possibilità che una malattia ereditaria, una mutazione cromosomica o una forma di neoplasia possano svilupparsi in modo da porre in grado i diretti interessati di scegliere il percorso che ritengono di poter sostenere alla luce delle informazioni genetiche ottenute.

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