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L’Europa scommette sulle tecnologie a idrogeno e firma un brevetto su tre

stazione ricarica idrogeno fortune italia

Dalla produzione allo stoccaggio fino alla distribuzione, l’utilizzo pratico e il trasporto. L’Europa punta sulle molteplici applicazioni dell’idrogeno e firma, a livello mondiale, un brevetto su tre che lo riguarda. Grazie a due grandi settori, quello dell’automotive e della chimica, sono le imprese, le università e le start up del vecchio continente a credere di più nel futuro di questa energia.

Un primato che vede secondo solo il Giappone, che di brevetti ne produce il 24%. Gli altri Paesi intanto arrancano. Negli Stati Uniti -che con il 20% delle certificazioni si attesta al terzo posto della classifica stilata dall’Ufficio europeo dei brevetti e dall’Agenzia internazionale dell’energia- negli ultimi dieci anni il numero è addirittura diminuito, in controtendenza con quello che succede ai primi due gradini del podio che aumentano di anno in anno la velocità di produzione.

Secondo il report congiunto anche la Cina e la Corea del Sud, che in questi due anni hanno intensificato anche loro interesse per l’idrogeno, faticano a stare al passo con le tecnologie pubblicate da Europa e Giappone.

L’Italia punta sull’idrogeno verde

Registrati tra il 2011 e il 2020 in giro per il mondo i brevetti presi in esame, oltre ad aver attraversato tutta la vasta gamma di tecnologie legate all’utilizzo dell’idrogeno, sono stati suddivisi tra quelli che impiegano, soprattutto per la sua produzione, combustibili fossili e quelli che invece sfruttano l’energia rinnovabile.

L’Italia è il quinto Paese più innovativo del Vecchio Continente su questo ultimo fronte, basti pensare che nel periodo preso in esame il 70% di tutte le certificazioni erano legate proprio alle tecnologie verdi. Una percentuale ben più alta rispetto al 64% della Germania, al 59% dell’Olanda e al 55% della Francia, che comunque ci precedono nella classifica generale dei produttori di brevetti di questa energia alternativa. 

Essendo noi privi di grandi industrie nei comparti dove l’idrogeno suscita maggiore interesse, vale a dire chimica e automotive, il nostro Paese deve questo primato nelle tecnologie legate all’idrogeno a zero emissioni all’iperspecializzazione di alcune aziende del settore.

Ma sono sempre di più i progetti che si stanno sviluppando con l’obiettivo di incrementare la produzione di quello che è un vero e proprio traguardo per la transizione ecologica: l’idrogeno pulito. Stando all’International Energy Agency da poco più di mezzo milione di tonnellate prodotte lo scorso anno si arriverà a raggiungere le 24 milioni di tonnellate di idrogeno verde entro il 2030. Meno di 10 anni. 

Le potenzialità sono ancora poco sfruttate  

I possibili utilizzi di questa energia sono svariati. Si passa dal settore della mobilità a quello delle infrastrutture e dell’industria fino all’ambito aerospaziale. In molti casi potrebbe cambiare la quotidianità di alcuni luoghi, come, ad esempio, quella nelle isole più remote che – non essendo spesso connesse ad una rete elettrica nazionale- dipendono da generatori alimentati a diesel o fonti rinnovabili intermittenti come il vento e il sole.

La qualità principale dell’idrogeno verde è infatti non solo quella di poter essere prodotto attraverso energia rinnovabile ma anche, e soprattutto, di poter essere stoccato in grandi quantità e per lunghi periodi.  

L’elevata densità energetica dell’idrogeno, la più alta tra i combustibili (basti pensare che è tre volte superiore a quella della benzina), lo renderebbe il candidato ottimale per rivestire il ruolo di riserva energetica nel futuro sistema che si baserà su fonti rinnovabili. Ma se si guarda al presente sono ancora diversi gli ostacoli che deve superare per aspirare a tale funzione, primo fra tutti è il suo essere una fonte di energia secondaria, ovvero non disponibile in natura.

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Come si produce l’idrogeno verde

Per far chiarezza, l’atomo di idrogeno è l’elemento chimico più diffuso in natura ma quando parliamo di idrogeno utilizzato in ambito energetico ci si riferisce a un’altra cosa, a un gas incolore e inodore composto da due atomi di idrogeno che viene prodotto grazie ad altre fonti, tra le quali i combustibili fossili o l’acqua.

Ad oggi quasi la totalità dell’idrogeno utilizzato è quello “grigio”, ossia creato attraverso processi che interessano carbone e metano. Un tipo di energia prodotta a costi relativamente bassi e che comporta però come contrappeso elevate emissioni di CO2. Dallo stesso tipo di idrocarburi fossili proviene anche l’idrogeno “blu” che, rispetto alla prima tipologia, ha la qualità di trattenere e immagazzinare la CO2 prodotta ed evitare la sua dispersione nell’atmosfera. 

Infine, esiste l’idrogeno che si ottiene dall’acqua attraverso l’elettrolisi, un processo che permette una riduzione consistente delle emissioni. Per ottenerlo viene richiesta una grande quantità di energia, si parla dunque di idrogeno “viola” se a generarlo è quella nucleare e “verde” o “a zero emissioni” se proviene dall’impiego di fonti energetiche rinnovabili. Ad oggi quest’ultimo non supera l’1% della sua produzione totale.

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Un mercato in evoluzione

Se per il mondo dell’automotive l’idrogeno verde resta il principale obiettivo nel campo dell’innovazione, con 350 domande di brevetto nel 2020, per altri settori come l’aviazione, l’industria e il trasporto marittimo la sua introduzione sembra incontrare non pochi impedimenti, primo fra tutti il suo stoccaggio. L’idrogeno viene conservato ad altissima pressione all’interno di alcune specifiche bombole e comporta diversi problemi a causa dell’energia consumata per la sua compressione e lo sviluppo di calore.

Altro freno, non certo di poco conto, è il prezzo, molto meno competitivo rispetto a quello dell’idrogeno grigio. Ostacoli che gli investimenti, la crescita del mercato globale e l’evoluzione nelle sue modalità di scorta potrebbero però far presto superare. Entro cinque anni, infatti, si stima che il mercato di questa energia arriverà a valere 400 miliardi di dollari l’anno, una cifra che rende più che interessante il suo sviluppo. 

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