Dna, 70 anni di ricerche sul codice della vita

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Settantant’anni di Dna. Il “codice della vita” è basato su un alfabeto composto da quattro lettere (adenina, timina, citosina e guanina) disposte in una struttura a doppia elica. Quello che oggi è quasi un ‘assioma’, e’ stato oggetto di studio e di ipotesi da parte di scienziati e biologi che, per molti anni, si sono interrogati sull’esistenza dei geni e sulla loro natura.

Affascinanti scenari si spalancarono davanti agli occhi dell’umanità quando, il 28 febbraio del 1953, il fisico britannico Francis Crick annunciò di aver scoperto, in collaborazione con il biologo statunitense James Watson, il “segreto della vita”.


La scoperta avvenne in un laboratorio Cavendish dell’Università di Cambridge, grazie ad un’attenta osservazione di immagini di cristallografia ai raggi X, scattate da Maurice Wilkins e Rosalind Franklin, che morì prima dell’assegnazione del Nobel, premio che, non può essere assegnato postumo, ma che fu parte attiva nella ricerca.

 

James Dewey Watson, il biochimico statunitense universalmente noto come il Padre del DNA, struttura che individuò insieme con H.C. Crick e Maurice H.F. Wilkins.

Una scoperta, quella del Dna, che “rivoluzionò la biologia” e aprì allo studio delle malattie genetiche e alla lotta contro i tumori spiragli fino ad allora impensabili: fu pubblicata su Nature il 25 aprile 1953 e, nel 1962 fu tributato meritatamente il Nobel per la medicina a Watson, Crick e Wilkins.

Antonio Giordano (a destra), ha lavorato nei laboratori di Cold Spring Harbor diretti dal premio Nobel James Watson

La conoscenza delle sequenze del Dna ci permette di identificare le cause genetiche di molte malattie ereditarie, di sviluppare farmaci mirati e di creare terapie genetiche. La nuova frontiera è la medicina personalizzata, ottenuta proprio grazie alla scoperta della doppia elica del Dna, di cui in questi giorni ricordiamo il settantesimo anniversario.

In questi ultimi anni le nostre ricerche allo Sbarro Institute sono state mirate alla creazione di “freni” contro la proliferazione delle cellule tumorali grazie ad alcune molecole capaci di “mimare”l’azione dei geni oncosoppressori. Più in particolare, gli studi più recenti sono diretti ad inibire la proteina AKT e riattivare l’attività di oncosoppressori chiave, che hanno provocato, in sede di sperimentazione, l’arresto del ciclo cellulare e la morte delle cellule cancerogene, specie di quelle responsabili del tumore al polmone e del mesotelioma. Ebbene, le pagine da scrivere per mettere la parola “fine” alla lotta contro i tumori non sono ancora molte.

*Antonio Giordano, direttore dello Sbarro Institute di Philadelphia e docente all’Università di Siena.

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