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Nobel Medicina 2023 a Karikó e Weissman per vaccini Covid a mRna

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Non farà la gioia dei tanti no-vax il Premio Nobel per la Medicina 2023. Quest’anno, infatti, il riconoscimento è andato ai ‘genitori’ del vaccino anti-Covid a mRna: Katalin Karikó e Drew Weissman.

Un premio, quello annunciato con un po’ di ritardo rispetto alla tabella di marcia al Karolinska Institutet di Stoccolma in Svezia, che era stato previsto, e forse auspicato, dalla comunità scientifica internazionale. Come si legge nelle motivazioni, i due ricercatori hanno infatti messo a segno le “scoperte riguardanti le modifiche delle basi nucleosidiche che hanno consentito lo sviluppo di efficaci vaccini a mRna contro Covid-19″. E ci hanno aiutato ad uscire dalla pandemia.

Hanno cambiato la storia dei vaccini e modificheranno la lotta ai tumori

“Un riconoscimento straordinario dovuto a una molecola, l’Rna, che è la più antica e importante che conosciamo – commenta con entusiamo a Fortune Italia il genetista Giuseppe Novelli dell’Università di Roma Tor Vergata – La scoperta dei due Nobel ha permesso di cambiare non solo la storia dei vaccini, ma io credo anche la storia del cancro, perchè ci permetterà di produrre vaccini personalizzati per ogni singolo paziente e ogni tipo di tumore”.

Una scelta importante

“Credo che il Nobel di quest’anno sia molto importante, perché le cure a base di mRna stanno modificando la ricerca anti-cancro – concorda parlando con Fortune Italia Massimo Ciccozzi, ordinario di Epidemiologia molecolare responsabile dell’unità di statistica medica ed epidemiologia molecolare dell’Università Campus Bio-Medico di Roma – Non parliamo di obiettivi lontani: si sta già studiando il vaccino a Rna contro i tumori e forse siamo di fronte a una delle scoperte più sensazionali per la Medicina, non solo per quello che è successo nella pandemia da Covid-19 ma per tutto quello che questo approccio ci porterà”.

“Parliamo di terapie, ma anche di prevenzione. Pensiamo solo a quello che un vaccino a mRna mirato potrebbe comportare per i pazienti affetti da tumore. L’idea – aggiunge Ciccozzi – era semplice: produrre un’azione mirata che non faccia danni da altre parti. Ecco, i due Nobel sono riusciti a svilupparla e trasformarla in realtà. Abbiamo un premio a una scoperta rivoluzionaria e innovativa, ma anche bella perchè è frutto di un’intuizione semplice ma geniale”, conclude Ciccozzi.

Hanno salvato milioni di vite

“Grazie alla ricerca scientifica di Katalin Karikó sull’utilizzo del mRna si sono potute salvare milioni di vite – sottolinea a Fortune Italia Antonio Giordano, direttore dello Sbarro Institute for Cancer Research and Molecular Medicine della Temple University di Philadelphia – Questo mette in luce quanto la ricerca scientifica sia fondamentale per il progresso e la sopravvivenza umana. Grazie alla pandemia si è potuti arrivare a evidenziare questo, ma anchel’importanza degli studi su Dna e Rna. Ma non serve che si verifichi una emergenza planetaria – conclude – per capire che la ricerca necessita di essere sostenuta e riconosciuta”.

Chi sono i due Nobel

Katalin Karikó è nata nel 1955 a Szolnok, in Ungheria, ha completato gli studi di dottorato all’Università di Szeged e nella stessa città ha proseguito gli studi fino al 1985, per poi trasferirsi negli Stati Uniti, presso la Temple University di Philadelphia e poi all’University of Health Science a Bethesda. Nel 1989 si è spostata all’Università della Pennsylvania, dove è rimasta fino al 2013. Quindi il passaggio al privato, come vicepresidente dell’azienda BioNTech Pharmaceuticals, società che insieme a Pfizer ha sviluppato il primo vaccino anti-Covid. Dal 2021 la studiosa ha una cattedra nell’Università di Szeged, dove aveva studiato, e una presso la Perelman School of Medicine dell’Università della Pennsylvania.

Drew Weissman, 64 anni, è nato nel 1959 negli Stati Uniti, a Lexington (Massachusetts). Dopo il dottorato all’Università di Boston, nel 1987, ha lavorato al Beth Israel Deaconess Medical Center dell’Harvard Medical School e poi ai National Institutes of Health. Dal 1997 Weissman lavora alla Perelman School of Medicine dell’Università della Pennsylvania.

Cosa vincono

I due scienziati premi Nobel oltre alla gloriasi divideranno 11 milioni di corone svedesi, contro i 10 mln deegli ultimi anni, al cambio odierno circa 950mila euro. 

Un boost allo sviluppo di vaccini

Il lavoro dei due scienziati è stato fondamentale per lo “sviluppo di vaccini a mRna efficaci contro Covid-19 durante la pandemia iniziata all’inizio del 2020. Attraverso le loro scoperte rivoluzionarie, che hanno cambiato radicalmente la nostra comprensione di come l’mRna interagisce con il nostro sistema immunitario, i vincitori – sottolinea il Comitato dei Nobel – hanno contribuito al ritmo senza precedenti di sviluppo di vaccini durante una delle più grandi minacce alla salute umana dei tempi moderni”.

I vaccini prima della pandemia

La vaccinazione stimola la formazione di una risposta immunitaria verso un particolare agente patogeno. Ciò dà all’organismo un vantaggio nella lotta contro le malattie in caso di esposizione. Da tempo sono disponibili vaccini basati su virus uccisi o indeboliti, come quelli contro la poliomielite o il morbillo. Nel 1951, Max Theiler ricevette il Premio Nobel per la Fisiologia e la Medicina proprio per aver sviluppato il vaccino contro la febbre gialla.

Grazie ai progressi della biologia molecolare negli ultimi decenni, sono stati sviluppati vaccini basati su singoli componenti virali, piuttosto che su virus interi. Parti del codice genetico virale, che solitamente codificano per le proteine presenti sulla superficie del virus, vengono utilizzate per produrre proteine che sollecitano la formazione di anticorpi che bloccano il virus. Ne sono un esempio i vaccini contro il virus dell’epatite B e il papillomavirus umano. In alternativa, parti del codice genetico virale possono essere spostate in un virus portatore innocuo, un “vettore”. Questo metodo viene utilizzato nei vaccini contro il virus Ebola. Quando vengono iniettati i vaccini vettori, la proteina virale selezionata viene prodotta nelle nostre cellule, stimolando una risposta immunitaria contro il virus bersaglio.

La produzione di vaccini a base di virus, proteine e vettori interi richiede colture cellulari su larga scala. Questo processo limita le possibilità di una rapida produzione  in risposta a epidemie e pandemie. Ecco perchè i ricercatori tentavano da tempo di sviluppare tecnologie vaccinali indipendenti dalla coltura cellulare.

L’idea di puntare sul mRna

Nelle nostre cellule, le informazioni genetiche codificate nel Dna vengono trasferite all’Rna messaggero (mRna), che viene utilizzato come modello per la produzione di proteine. Durante gli anni ’80 furono introdotti metodi efficienti per produrre mRna senza coltura cellulare: la trascrizione in vitro. Questo passo decisivo ha accelerato lo sviluppo delle applicazioni della biologia molecolare in diversi campi.

Anche l’idea di utilizzare le tecnologie dell’mRna per vaccini e farmaci ha preso piede, ma non mancavano gli ostacoli. L’mRna trascritto in vitro era considerato instabile e difficile da fornire, richiedendo lo sviluppo di sofisticati sistemi lipidici trasportatori per incapsularlo. Inoltre aveva dato origine a reazioni infiammatorie. Questi ostacoli però non scoraggiarono la biochimica ungherese Katalin Karikó, che – ricordano da Stoccolma – si dedicò allo sviluppo di metodi per utilizzare l’mRna a scopo terapeutico.

All’inizio degli anni ’90, quando era assistente professore presso l’Università della Pennsylvania, la scienziata rimase fedele all’obiettivo nonostante le difficoltà nel convincere i finanziatori della ricerca dell’importanza del suo progetto. Un collega di Karikó,  l’immunologo Drew Weissman, studiava le cellule dendritiche, che svolgono importanti funzioni nella sorveglianza immunitaria e nell’attivazione delle risposte immunitarie indotte dai vaccini. Alimentata da nuove idee, presto iniziò una fruttuosa collaborazione tra i due.

La svolta

Karikó e Weissman hanno notato che le cellule dendritiche riconoscono l’mRna trascritto in vitro come una sostanza estranea, il che porta alla loro attivazione e al rilascio di molecole di segnalazione infiammatoria. L’Rna contiene quattro basi, abbreviate A, U, G e C, corrispondenti ad A, T, G e C nel Dna, le lettere del codice genetico. I futuri Nobel sapevano che le basi nell’Rna delle cellule di mammifero sono spesso modificate chimicamente, mentre l’mRna trascritto in vitro non lo è.

Ma era forse l’assenza di basi alterate nell’Rna trascritto in vitro a causare la reazione infiammatoria? I due hanno prodotto diverse varianti di mRna, ciascuna con alterazioni chimiche uniche nelle loro basi, che hanno consegnato alle cellule dendritiche. I risultati sono stati sorprendenti: la risposta infiammatoria è stata quasi abolita quando le modifiche delle basi sono state incluse nell’mRna. Si è trattato “di un cambiamento paradigmatico nella nostra comprensione di come le cellule riconoscono e rispondono alle diverse forme di mRna”, dicono da Stoccola,

Karikó e Weissman capirono immediatamente che la loro scoperta aveva un profondo significato per l’uso dell’mRna come terapia. Questi risultati fondamentali sono stati pubblicati nel 2005, quindici anni prima della pandemia di Covid-19. Ma l’impatto sul futuro dei vaccini e della lotta ai tumori è ancora tutto da vedere.

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