Non autosufficienza in Italia, a che punto siamo

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Entra nel vivo il percorso del decreto legislativo recante disposizioni in materia di politiche in favore delle persone anziane, in attuazione della delega di cui agli art. 3, 4 e 5 della Legge 23 marzo 2023, n.33 della riforma dell’assistenza agli anziani non autosufficienti presentato dal Consiglio dei ministri lo scorso 25 gennaio.

Un ambito che interessa circa dieci milioni di persone: quattro milioni di anziani, più caregiver, assistenti e badanti, e che da subito ha attivato la società civile che nel 2021 ha dato vita al “Patto per un nuovo welfare sulla non autosufficienza”, composta da più di sessanta associazioni che ha redatto un piano dettagliato di proposte al fine di realizzare un intervento normativo sempre più vicino alle reali esigenze della popolazione interessata. Nel 2021, infatti, il Patto riesce ad ottenere l’introduzione della riforma nel Pnrr.

Dopo più di due anni di confronto, le proposte emerse sono state sottoposte al decisore ed il frutto del lavoro è visibile nella legge delega 33/2023. Sembrava quindi ci fossero tutte le premesse per veder realizzata una riforma vera ed efficace, ma a pochi giorni dall’approvazione dello schema di decreto legislativo, dopo attenta analisi e lettura, affiorano diverse preoccupazioni che il Patto ha reso pubbliche inviando nei giorni scorsi una lettera aperta al presidente Meloni.

Nella lettera si premette che il focus non è concentrato sui finanziamenti, pur importantissimi, ma su alcuni passaggi fondamentali che non sviluppano, secondo il Patto, in modo completo il progetto previsto dalla legge delega. Tre i punti in discussione:

La riforma dei servizi domiciliari.
In Italia manca un servizio domiciliare pubblico disegnato per assistere gli anziani non autosufficienti. Quelli erogati oggi da Asl e Comuni sono utili ma pensati per altre categorie di persone e ad altri fini e non tengono conto di aspetti ineludibili come, ad esempio, la durata dell’assistenza. In questo contesto per evitare errori, occorrerebbe magari superare la separazione fra ADI, il servizio di Assistenza Domiciliare Integrata erogato dalle Asl, e SAD, Servizio di Assistenza Domiciliare in campo ai Comuni, puntando su uno sviluppo complementare di assistenza domiciliare e residenziale e riorientando tutta la filiera di servizi, in modo da poter rispondere a un insieme al ventaglio dei bisogni degli anziani.

L’avvio della riqualificazione delle strutture residenziali.
La priorità è sostenere la permanenza dell’anziano a domicilio, ma nei casi più gravi questa non è un’opzione possibile. Se questo tema è prioritario ci si aspettava delle previsioni più stringenti, tanto nella definizione di tutti i criteri utili per l’accreditamento, quanto dei necessari requisiti di sicurezza e qualità. Il decreto attuativo, invece, contiene solo prime indicazioni in merito e rimanda a ulteriori provvedimenti.

Il futuro della prestazione universale.
Per ottenere la nuova misura, sperimentale per il 2025-2026, sono richiesti un elevato bisogno assistenziale, un’età di almeno ottant’anni, e ridotte disponibilità economiche. Viene così introdotto il principio che si può fruire dell’assistenza per la non autosufficienza solo se, oltre a trovarsi in questa condizione, si è poveri mentre attraverso il welfare è necessario sostenere anche le classi medie. Inoltre, con la prestazione vengono aggiunti 850 euro mensili all’indennità di accompagnamento – la più diffusa misura pubblica – che rimane immutata, senza affrontarne i tanti problemi. Sarebbe auspicabile che la sperimentazione prevedesse anche una revisione dell’indennità per le persone coinvolte: solo così potrà costituire un’utile base per il futuro.

La lettera si chiude con l’auspicio si possa compiere un ulteriore atto affinché il testo possa essere discusso attivamente con la parte associativa perché il Governo arrivi ad una revisione del decreto che rispetti le previsioni più innovative della legge-delega.

*Pier Raffaele Spena, presidente FAIS odv

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