AstraZeneca, il corto circuito della comunicazione

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È possibile sbagliare sistematicamente tutto? Sì, se si parla del vaccino AstraZeneca e, in particolare, del corto circuito da cui non riesce a uscire la comunicazione. Sbagliati i messaggi, sbagliati i tempi, sbagliate le modalità. Non si può che partire da qui per descrivere quello che sta succedendo. L’ultimo fatto da registrare è l’ennesimo contrordine che (come scrive Margherita Lopes in questo articolo) rischia di rappresentare il funerale del vaccino. Prima raccomandato in Italia agli under 55, poi agli under 65, adesso sarà somministrato (la dizione corretta è ancora raccomandato) “in via preferenziale ai soggetti sopra i 60 anni”.

Come è possibile? La riposta più corretta, da un punto di vista scientifico, non è complicatissima. Il vaccino è nuovo, come tutti gli altri visti i tempi record nella produzione imposti dall’emergenza Covid, e al verificarsi di effetti collaterali (contenuti e limitati a percentuali bassissime sul totale dei vaccinati) le autorità di regolazione aggiustano il tiro rispetto alle loro ‘raccomandazioni’. A ogni nuova raccomandazione, corrispondono notizie e titoli che la stampa produce per raccontare una realtà in continua evoluzione. Sono titoli allarmistici o, peggio, sono notizie distorte? Nella maggior parte dei casi sono la traduzione abbastanza fedele delle parole che usano l’Ema e l’Aifa. Ma non basta. Quale deve essere il ruolo dei giornalisti e dell’informazione? Sempre lo stesso, in ogni circostanza. Devono puntare a raccontare la verità, o almeno quelli che sono gli elementi conosciuti della verità. Pretendere che dopo le dichiarazioni dell’Ema o dell’Aifa possano essere prodotte notizie rassicuranti, in nome di una presunta responsabilità collettiva, è non solo utopistico ma anche tecnicamente scorretto.

Il problema va spostato sulla comunicazione. Cosa è opportuno che Ema e Aifa comunichino all’esterno? E, soprattutto, come sarebbe più utile farlo? Si ripete, ed è vero, che qualsiasi farmaco, a partire dal più utilizzato di tutti come l’Aspirina, ha effetti collaterali più gravi rispetto ai possibili legami tra i vaccini AstraZeneca e le trombosi. E allora viene da chiedersi perché si prende l’Aspirina, e qualsiasi altro farmaco senza curarsi di cosa c’è scritto nel bugiardino, e invece si ha paura di fare un vaccino che protegge da una malattia potenzialmente mortale? Perché il livello di attenzione intorno a un raffreddore, o un’influenza (che pure, è bene ricordarlo, provoca morti ogni anno e da sempre) non è lo stesso che c’è intorno a Covid. E perché una ‘raccomandazione’ che riguarda una vaccinazione di massa, necessaria a fermare una pandemia che da un anno costringe il mondo a una vita sospesa, ha un impatto diverso sull’opinione pubblica di qualsiasi altra ‘raccomandazione’.

Quindi, come se ne esce? Un passo avanti si potrebbe fare con un deciso cambio di passo nella comunicazione. A questo punto, è necessaria un’altra puntualizzazione. Non servono lezioni ai professionisti che si occupano di comunicazione per conto dell’Ema e dell’Aifa. Fanno quello che possono, con gli strumenti che hanno a disposizione. Servirebbe una presa di coscienza da parte dei vertici delle autorità che consenta di rivedere i meccanismi di decisione e di comunicazione all’esterno delle decisioni, che evidentemente non sono più compatibili con la gravità della situazione. E servirebbe un coordinamento con le istituzioni, nazionali ed europee, che a quelle decisioni devono fare riferimento. Vanno selezionate le informazioni e scelti i messaggi corretti da far passare. In estrema sintesi, serve una buona comunicazione. Altrimenti, le conseguenze sono quelle che stiamo vedendo. Con le rinunce al vaccino AstraZeneca che oggi rallentano la vaccinazione e domani potrebbero farla fallire.

 

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