Potere della collaborazione e salute del futuro al Forum Health

salute al Forum Health
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Da soli non si va da nessuna parte. La sintesi per disegnare il futuro della salute, nazionale e globale, è la collaborazione.

Quasi un patto non scritto, riconosciuto però con onestà intellettuale da tutti gli attori che ricoprono ruoli diversi ma interattivi tra loro, sul palcoscenico di un’assistenza sanitaria in cui il cittadino-paziente non è solo un fruitore dello spettacolo. Ma è il vero protagonista attorno al quale deve essere disegnata la pièce, nonché coautore e collaboratore alla regia della rappresentazione nel suo complesso.

Istituzioni, aziende della salute e associazioni di categoria si sono trovati d’accordo proprio su questo punto, dialogando in occasione del III Forum Health organizzato a Milano da Fortune Italia. Un momento di confronto che ha portato gli opinion leader a confrontarsi sull’opportunità e le modalità di ripensare i modelli di salute per creare nuovo valore.

A partire dal non potersi esimerei dal ragionare secondo un approccio “One health” per essere preparati a gestire eventuali nuove pandemie, “prevenendo, indagando, rispondendo ai bisogni di salute presenti e preparando le risposte per quelli futuri, e mettendo in atto le azioni per recuperare”, ha detto Stefano Vella, adjunct Professor, Global Health all’università Cattolica del Sacro Cuore di Roma.

Del resto “quanto è accaduto nell’ultimo anno e mezzo dovrebbe essere bastato per far capire a tutti che è necessario investire di più nella ricerca e nella scienza”, ha aggiunto il presidente dello Human Technopole Marco Simoni. Che non si è riferito, attenzione, ai soli investimenti finanziari. Ma grandemente anche all’investimento in termini decisionali e di volontà politica.

Dato quindi per assodato che ciò vada fatto, il come è in parte da definire. Ma in fretta. Per non perdere il treno delle risorse del Next Generation Eu. Molte le indicazioni messe sul tavolo dagli addetti ai lavori. Secondo Elena Bottinelli, Head of Innovation del Gruppo San Donato, ciò significa in primis la necessità di dare concretezza a un “approccio multidisciplinare alla salute di ciascun paziente, realizzabile grazie all’uso sapiente dei dati sanitari. Che possono permettere di predire e quindi di agire anche livello di prevenzione della malattia”.

A patto che, ha sottolineato Miriam Gargesi, Senior Director Government Affairs di Illumina, “i dati siano interoperabili e fruibili da tutta la comunità scientifica”.

Non poteva che essere messo sul piatto anche il tema della sostenibilità della salute. Aggettivo da declinare sia in ambito economico che sociale, se si vuole riuscire a garantire un accesso equo alle migliori cure innovative anche con l’avvento delle terapie personalizzate. Non dimenticando la sostenibilità ambientale della salute nel suo complesso, che rimanda al concetto di “one health” che deve essere tenuto come faro per il cammino futuro, pena il rischio che altri agenti patogeni possano compiere il salto di specie e mettere l’intero globo nuovamente nei pasticci.

E le aziende produttrici di farmaci e tecnologie sanitarie possono giocare un ruolo di primo piano in questa partita. Una possibile ‘ricetta’, secondo Riccardo Ena, Country Manager di PTC Therapeutics Italy può essere quella di “inserire nelle proprie strutture persone in grado di leggere a 360 gradi i bisogni delle persone, grazie anche a skill emozionali ed empatiche che permettono di capire che l’obiettivo comune è quello di trovare una soluzione al problema di salute nel suo complesso e non solo a un singolo aspetto”.

Tra il dire e il fare c’è di mezzo da un lato la volontà politica, dall’altro la necessità di riuscire a utilizzare le risorse economiche in modo intelligente. Che significa, secondo Simoni, “integrare i progetti (del Pnrr, ndr) che ricevono i finanziamenti in modo da ottenere un risultato maggiore rispetto agli output dei singoli piani”. In altre parole “fare rete”, ha detto Bottinelli, “potenziando l’attività di technology transfer per valorizzare i risultati della ricerca”.

Perché, è tornato a mettere in evidenza il presidente di Assobiotec Riccardo Palmisano, “sappiamo bene che in Italia pubblichiamo molto sulle riviste scientifiche, ma brevettiamo poco. E industrializziamo ancora meno”.

Un tema, quello dei brevetti e del framework regolatorio, assai dibattuto dai partecipanti alla tavola rotonda dedicata alla ricerca e all’innovazione digitale e tecnologica. Se tutti, lato istituzioni e lato imprese, concordano sulla necessità di rivedere ed evolvere il quadro normativo legato alla farmaceutica, il problema è capire come e in che direzione.

“Puntare a un contesto regolatorio che sia anche dinamico, come dinamico è per natura il sistema farmaceutico”, ha proposto Pierluigi Russo direttore ufficio Valutazioni Economiche e ufficio Registri di Monitoraggio di Aifa.

“Proseguire nel solco della sburocratizzazione dei processi iniziata con il Covid e la definizione di un piano industriale di medio periodo, da sviluppare tenendo presenti anche le risorse del Pnrr”, è una delle proposte del presidente di Egualia Enrique Hausermann.

L’importante è che, a prescindere dalle azioni che si riusciranno a concordare tra i player, “si riesca a trovare un modo per migliorare, e non ostacolare, l’outcome di salute di un sistema virtuoso in cui il grosso degli investimenti finanziari per la ricerca e sviluppo per nuovi farmaci è fatto dalle aziende (originator, ndr). Un sistema in cui, in uno step successivo, si innestano le aziende produttrici di farmaci equivalenti: grazie ai loro prodotti si liberano risorse economiche che lo Stato può reinvestire”, ha aggiunto Valentino Confalone, componente della Giunta di Farmindustria.

E per quanto riguarda l’oggetto di attenzione di questi re-investimenti non c’è ombra di dubbio. “La prossimità delle cure”, ha detto chiaramente il segretario generale di Cittadinanzattiva Anna Lisa Mandorino. Precisando che “prossimità è sinonimo di capillarità dei servizi e di una sanità che si muove verso i cittadini evitando il percorso inverso a cui abbiamo assistito sino a ora”.

In questo processo, il farmacista territoriale si pone come interlocutore privilegiato “grazie alle 19.000 farmacie diffuse capillarmente nel Paese e per loro natura vocate all’umanizzazione delle cure. Come l’emergenza Covid ha ampiamente dimostrato”, ha ricordato il presidente di Utifar Eugenio Leopardi.

Gli elementi su cui agire del resto sono molti, “a partire dalla presa in carico delle cronicità, che potrebbe essere in capo al farmacista insieme al medico di medicina generale e alle professioni infermieristiche. Perché nel futuro di questa professione c’è l’evoluzione verso il poter guardare a ciò che accade quando il farmaco esce dalla soglia della farmacia”.

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