Ricercatori in fuga dalle accademie? L’analisi di Giordano

Antonio Giordano
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Ricercatori in fuga dall’accademia? Il rischio c’è, dal momento che una recente indagine ne ha messo in luce tutta l’insoddisfazione, e non solo dal punto di vista economico. Un fenomeno diffuso a livello internazionale. E in Italia?

“La professione di ricercatore, in Italia, non è mai stata una scelta fortunata: spesso menti brillanti sono costrette a ‘emigrare’ e a mettere le proprie competenze a vantaggio di altri Paesi”. A sottolinearlo è Antonio Giordano, fondatore e direttore dello Sbarro Institute for Cancer Research and Molecular Medicine della Temple University di Filadelfia e professore di Anatomia ed Istologia Patologica all’Università di Siena, che conosce ‘da vicino’ il problema e analizza la situazione attuale, alla luce di una recente indagine internazionale pubblicata su ‘Nature’.

“I dati di questa recente indagine indicano che gli scienziati impiegati nell’industria farmaceutica risultano più appagati, sia dal punto di vista professionale che stipendiale, rispetto a quelli impegnati nella carriera accademica. E questo nonostante la pandemia abbia fatto emergere l’importanza della ricerca scientifica”, evidenzia l’esperto.

Se in un sondaggio del 2016 i due mondi camminavano di pari passo, “a distanza di 5 anni emergono delle divergenze”. L’indagine svolta dal gruppo ‘Nature’ comprendeva a livello numerico un terzo di ricercatori attivo nelle aziende e i restanti due terzi nelle accademie”, precisa Giordano.

Ebbene, “ciò che è emerso dovrebbe allarmare i responsabili accademici di tutto il mondo, dato che il morale del settore è in via di peggioramento: ad esempio, gli accademici di 58 università del Regno Unito avrebbero organizzato uno sciopero di 3 giorni a partire dal 1 dicembre a causa di una disputa in corso su retribuzione, condizioni di lavoro e tagli pianificati alle loro pensioni. Sempre nel Regno Unito, più di 1.000 tra docenti e altri membri hanno la sensazione che i leader universitari stiano usando la pandemia come un pretesto adottare misure di riduzione dei costi”.

“L’articolo di Nature, purtroppo, mette in evidenza anche altre disparità tra industria e accademia: circa il 30% degli intervistati nel mondo accademico ha riferito discriminazioni, molestie o bullismo sul posto di lavoro, rispetto al 15% di quelli appartenenti al settore industria. Non sarà un caso, quindi, se in un’intervista un direttore di ricerca presso una società globale di bioscienze ha affermato che circa il 60% delle domande di lavoro proviene dal mondo accademico e solo una piccola percentuale di coloro che vengono assunti torna sui suoi passi”.

Insomma, se si decide di ‘cambiare casacca’, difficilmente poi si torna indietro. “L’economia del mercato del lavoro potrebbe fornire una spiegazione per la diversa, cioè migliore, retribuzione e la maggiore soddisfazione segnalate dagli intervistati nell’industria. Nuove aziende farmaceutiche infatti – continua Giordano – spuntano di settimana in settimana. Bisognose di personale, è plausibile che offrano stipendi alti e vantaggi aggiuntivi proprio per attirare validi candidati”.

“Le istituzioni pubbliche, invece, generalmente, sono più povere e piene di dottorandi e post-doc brillanti e sottopagati. Ecco perché lo stipendio ‘stagnante’ dell’università induce molti giovani cervelli a cercare lavoro nelle aziende”.

Cosa accadrà? “In generale è improbabile che a livello economico le università possano competere con il settore industriale, ma è importante che i due mondi apprendano l’uno dall’altro. La carriera accademica – aggiunge Giordano – è certamente più gratificante e, se le università agissero come le imprese, il personale sarebbe probabilmente più felice e non cercherebbe di andarsene. D’altro canto, anche l’azienda dovrebbe essere desiderosa di consentire al proprio personale di ricerca di pubblicare su riviste scientifiche”. In pratica, non dovrebbero penalizzare le aspirazioni del ricercatore.

“Sarebbe bello se il mondo accademico potesse essere più competitivo rispetto all’industria, lasciando la possibilità ai ricercatori di fare quello che amano, dove vivono e con le giuste gratificazioni. Se l’obiettivo è che le generazioni attuali e future di accademici prosperino, bisogna apprendere da altri settori”, conclude l’esperto. Dunque le istituzioni accademiche dovrebbero imparare dall’industria a reclutare preservare, trattenere e premiare il personale. “Solo così si eviterà la fuga dei talenti più interessanti”, conclude Giordano.

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