Depressione, l’interruttore della giusta ricompensa

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Apatia, disinteresse per quello che accade. Tra le caratteristiche della depressione c’è anche la difficoltà a trovare motivazioni per cose e situazioni che fino a qualche tempo prima attivavano reazioni. Così ci si sente stanchi, quasi “sgonfiati” . E non si ha certo voglia di fare, come se mancasse la percezione di avere la giusta ricompensa, fisica o morale, per la propria attività.

L’umore cupo è una delle grandi sfide della ricerca e la scienza sta cercando di costruire un mosaico di conoscenze che aiutino prima a capire cosa accade sotto l’aspetto neurobiologico, con la speranza di trovare possibili soluzioni mirate che possano in futuro diventare strumenti di cura.

In questa chiave va letta un’originale ricerca condotta su animali da laboratorio, coordinata da Bo Li de Z. Josh Huang del Cold Spring Harbor Laboratory, pubblicata su Cell. Un pugno di cellule cerebrali nel cervello murino sarebbe deputato a regolare la motivazione e quindi a darsi da fare, attraverso compiti più o meno semplici. Al fine di ottenere una ricompensa.

Il tutto – e questa è la chiave più interessante della sperimentazione – senza peraltro diventare “workaholic”, ovvero a trovarsi come veri e propri Stakanov a continuare ad operare senza sosta. Ci sarebbe infatti una soglia di “sopportazione” per l’interesse all’attività, che si autoregola e quindi impedisce di creare, con la stimolazione di questo nucleo di neuroni, una vera e propria dipendenza.

Insomma, negli animali (siamo infatti ancora solo ad osservazioni preliminari sperimentali) non ci sarebbero problemi particolari se l’interruttore che può aiutare a ridare motivazione viene accesso. Ci sarebbe infatti una sorta di “autospegnimento” che evita di andare incontro ad eccessi.

I neuroni in questione si trovano nella corteccia insulare anteriore e sono in grado di attivare un particolare gene, definito Fezf2: per questo vengono definiti neuroni Fezf2. Sono attivi quando l’animale svolge compiti fisici e cognitivi.

Un primo esperimento ha dimostrato una maggior attività del topo quando vengono attivate queste cellule cerebrale rispetto a quanto avviene normalmente. I topi sono stati addestrati a leccare il beccuccio di una bottiglia d’acqua per ricevere una piccola ricompensa di zucchero. Quando i ricercatori hanno attivato l’attività di questi neuroni Fezf2, i topi leccavano con più vigore.

Allo stesso modo, sempre nell’ottica di ottenere una ricompensa, gli animali sono stati sottoposti ad un’attività più propriamente fisica, ovvero alla corsa su una ruota. Anche in questo caso, se i neuroni venivano “accesi” dai ricercatori, il movimento era più veloce. Attenzione però. Ciò che più conta è che il meccanismo si autoregola.

Se i topi erano sazi si acqua zuccherata si fermavano e non continuavano a leccare, anche in presenza di attivazione dei neuroni Fezf2. E lo stesso, negli esperimenti, accadeva per la corsa.

Quest’ultima osservazione è di grande importanza per il possibile sviluppo futuro di queste ricerche, in chiave di potenziali trattamenti per la depressione umana. E’ infatti fondamentale evitare che si creino situazione di dipendenza, con un potenziale farmaco che possa diventare una sorta di “droga” creando assuefazione.

Chissà che dagli animali non si possa passare anche all’uomo per vedere se un pugno di neuroni, opportunatamente “accesi”, non possa diventare una chiave contro l’apatia.

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