La ricerca può essere il motore della ripresa dopo Covid, a patto di superare importanti criticità. Il report del Cnr e l’analisi di un’esperta di tech transfer. La versione completa di questo articolo è disponibile sul numero di Fortune Italia di aprile 2022.
Scienza, tecnologia e innovazione potranno essere il motore della ripresa dell’economia italiana post pandemia? È il quesito, complesso, a cui ha provato a rispondere il Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) con la terza edizione della relazione sulla ‘Ricerca e l’innovazione’. La risposta, altrettanto eterogenea e articolata, è positiva. Anche se riuscire a traghettare l’Italia in una nuova era di sviluppo sostenibile dipenderà molto da quanto saremo in grado di scardinare paradigmi di governance dell’innovazione, che abbiamo capito non essere favorevoli. A partire dal bias tutto italiano che vede come pericolosa la commistione della ricerca pubblica e di quella industriale.
In effetti, il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) – la cui attuazione potrà contare su finanziamenti per 191,5 mld di euro divisi tra sei missioni tra cui quelle per la transizione ecologica e l’equità sociale faranno la parte del leone con circa 59 e 40 mld rispettivamente – è costruito proprio confidando nel ruolo cruciale della ricerca pubblica, che deve diventare anche strumento di sviluppo industriale.
L’essenza stessa del Pnrr, infatti, prevede che la trasformazione economica del sistema Italia sia via via sempre più governata dal trasferimento tecnologico dei risultati della ricerca pubblica. In altri termini, l’obiettivo da raggiungere è che gli investimenti in ricerca servano per creare valore. Ovvero si traducano in nuovi prodotti, processi e servizi che generino occupazione ad alto valore aggiunto e reddito. Anche per questo oltre il 61% delle risorse disponibili sarà dedicato alle attività connesse alla ricerca applicata e allo sviluppo sperimentale.
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