Parkinson, un test lo rivela (grazie a una donna dal super-olfatto)

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È una storia incredibile quella che arriva dalla Gran Bretagna e che potrebbe aver portato alla realizzazione di un test rivoluzionario per la diagnosi precoce della malattia di  Parkinson. Il condizionale è d’obbligo perché questo test, rapido e di facilissima esecuzione, andrà validato su grandi numeri prima di arrivare alla pratica clinica, ma sembra davvero promettente.

Tutto inizia quando Joy Milne, una donna con una condizione rara che rende il suo olfatto iper-sensibile, comunicò ai medici di aver avvertito un cambiamento particolare nell’odore del marito, che aveva assunto un carattere ‘muschioso’, già 12 anni prima che gli venisse diagnosticato la malattia Parkinson.

Subito soprannominata ‘la donna che annusa il Parkinson’, la Milne ha attirato l’attenzione del dottor Tilo Kunath dell’Università di Edinburgo e della professoressa Perdita Barran dell’Università di Manchester, che nel 2012 hanno cominciato ad analizzare a fondo la questione, finendo con lo scoprire che i pazienti con Parkinson, anche in fase precocissima, presentano effettivamente un’alterazione del sebo (in questi pazienti si osserva comunemente la comparsa di una pelle più grassa e ‘oleosa’ soprattutto a livello del viso e dello scalpo), alla base di quel particolare odore ‘muschioso’, che solo la signora Joy riesce a ‘sentire’.

La donna è stata sottoposta negli anni ad una serie di test, nei quali è sempre risultata in grado di riconoscere la presenza della malattia. Nel corso di uno di questi test, a Joy che oggi a 72 anni, è stato chiesto di annusare le magliette indossate da pazienti con malattia di Parkinson e di persone senza questa malattia; la donna ha individuato correttamente tutte le magliette indossate dai pazienti, indicando inoltre come ‘T-shirt-Parkinson’ anche quella di una persona che non presentava all’epoca segni della malattia, ma che li avrebbe sviluppati poi a distanza di otto mesi dall’esperimento.

Il lavoro dei ricercatori britannici è andato avanti finché, nel 2019, la professoressa Barran ha annunciato di aver scoperto che il sebo dei pazienti con malattia di Parkinson presenta una ‘firma’ molecolare unica, che gli conferisce quell’odore particolare, segnalato da Joy. Partendo da questa osservazione è stato dunque sviluppato un test basato sulla ricerca di questa molecola nel sebo, che viene prelevato passando un cotton fioc sul collo del paziente (o presunto tale).

Intanto i risultati di uno studio che ha confrontato l’analisi del sebo di 150 persone (79 pazienti con Parkinson e un gruppo di controllo di 71 persone), sono stati appena pubblicati su Journal of American Chemical Society dal gruppo della Barren.

Il test del cotton fioc, raffinato e ottimizzato (sfrutta l’elettrospray su carta e la spettrometria di massa a mobilità ionica), al momento fornisce il risultato in meno di tre minuti. “Il sebo – commentano gli autori – è un biofluido ancora poco esplorato e facilmente prelevabile, passando un cotton fioc sulla pelle di una persona. Composto da una miscela di trigliceridi, colesterolo, acidi grassi liberi, cere e squalene, il sebo contiene anche composti volatili che possono essere utilizzati come biomarcatori di Parkinson, perché rivelano una disregolazione mitocondriale che comparare con la progressione della malattia”.

“Abbiamo un disperato bisogno di indicatori che rivelino la malattia Parkinson in una fase precoce – commenta a Fortune Italia uno dei maggiori esperti internazionali di Parkinson, il professor Paolo Calabresi, Ordinario di Neurologia, Università Cattolica del Sacro Cuore e Direttore della Uoc di Neurologia della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs – Siamo di fronte ad uno studio preliminare, condotto su una coorte di pazienti poco numerosa e su pazienti con malattia di Parkinson già conclamata. Serviranno ulteriori ricerche per comprendere se l’utilizzo di questo biomarcatore possa essere davvero d’aiuto nel rivelare la presenza di malattia in fase precoce; questa procedura andrà inoltre standardizzata in modo rigoroso prima di essere utilizzata per formulare una diagnosi precoce certa di Parkinson”.

“Un test di questo tipo – aggiunge – sarebbe prezioso per poter somministrare già in fase molto precoce terapie disease-modifying, come gli anticorpi monoclonali che stiamo utilizzando adesso in via sperimentale, cogliendo la malattia prima che vi sia una perdita irreparabile di cellule nervose che producono dopamina, il neurotrasmettitore carente nella malattia di Parkinson”.

Siamo dunque ancora solo all’inizio, ma se l’efficacia di questo test venisse confermata, potrebbe essere utilizzato per uno screening di massa, per la diagnosi di malattia Parkinson in fase precocissima.

E sarebbe una rivoluzione, visto che al momento non esistono test per la diagnosi precoce di malattia Parkinson, che si basa sui sintomi del paziente e la sua storia clinica. Secondo il Global Burden of Disease, Injuries, and Risk Factors Study, la malattia di Parkinson è la patologia neurodegenerativa a più rapida crescita e la seconda più frequente (tra gli over 65enni la sua prevalenza è del 2%).

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