Tumore al seno, avatar svela un alleato dell’immunoterapia

tumore seno
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Nelle cellule tumorali un potenziale alleato delle armi usate per batterlo. Parla italiano la ricerca che ha messo in luce un punto debole del tumore al seno. I ricercatori dell’Ifom e dell’Università degli Studi di Milano hanno realizzato in laboratorio degli ‘avatar’ di questo tumore, scoprendo che alla base dell’invasitività metastatica del carcinoma intraduttale mammario c’è il trasformismo materico delle cellule tumorali.

Ma di che si tratta? Gli scienziati hanno scoperto che queste cellule sono in grado di passare dallo stato solido a quello liquido. Questa caratteristica, alleata del tumore, ha però anche il potenziale di rendere queste cellule più sensibili all’immunoterapia: da strategia di attacco, dunque, questo singolare trasformismo potrebbe essere convertito in chiave terapeutica.

Il carcinoma intraduttale

Nel mirino dei ricercatori le cellule di carcinoma intraduttale mammario. “Il carcinoma intraduttale mammario è diagnosticato sempre più facilmente grazie agli screening radiografici – spiega Giorgio Scita, a capo del laboratorio ‘Meccanismi di ricerca delle cellule tumorali’ dell’Ifom e ordinario di Patologia Generale presso l’Università degli Studi di Milano – Circa il 20% delle diagnosi di cancro al seno sono di questo tipo”.

Le cellule del carcinoma intraduttale si sviluppano e proliferano all’interno dei confini del dotto della ghiandola mammaria. In questa condizione i tessuti sani circostanti comprimono la massa tumorale e ne alterano le proprietà fisiche, favorendone l’irrigidimento e prevenendone l’espansione. “Grazie a questo meccanismo di difesa – sottolinea Scita – per circa il 70% di questi tumori non sarebbe necessario alcun tipo di intervento né chirurgico né farmacologico, in quanto spesso regredirebbero spontaneamente. Solo il 30% circa progredisce, dando luogo a metastasi a distanza”.

La differenza, tuttavia, si osserva a posteriori poiché “oggi, purtroppo, non ci sono strumenti per prevedere se una paziente rientrerà nel 30% o nel 70% dei casi”, spiega lo specialista. Di conseguenza tutte le pazienti a cui viene diagnosticato questo tipo di tumore sono sottoposte indistintamente alla stessa terapia, subendo effetti collaterali che per la maggior parte di loro sarebbe evitabile.

“La sfida che ci siamo posti è stata di indagare le caratteristiche fisiche alla base delle due categorie di tumore, per cercare di indentificare criteri con cui differenziare i trattamenti e ridurre al minimo indispensabile le terapie applicate”, conti.

La ricerca

“In un nostro precedente studio”, pubblicato nel 2019 sulla rivista Nature Materials, “abbiamo individuato una proprietà meccanica e materiale specifica nelle cellule tumorali di quel 30% votato alla disseminazione metastatica. Si tratta della capacità del tessuto tumorale solido di diventare fluido. È un po’ – spiegano i ricercatori – come se il tumore fosse in grado di trasformarsi da una massa rigida ma inerte in un flusso liquido e mobile, riuscendo così a superare gli argini meccanici che ostacolavano la sua progressione e invasività. Avevamo inoltre constatato che la fluidificazione del tessuto tumorale è indotta dalla proteina RAB5A. Tale proteina regola la capacità delle cellule di internalizzare membrane e recettori ed è anche frequentemente espressa in quantità notevole proprio nei più aggressivi tumori al seno”.

Nel nuovo lavoro, sostenuto da Fondazione Airc, e pubblicato su Nature Materials, i ricercatori italiani hanno raggiunto un ulteriore traguardo. Hanno infatti dimostrato che la capacità della cellula tumorale di passare da uno stato solido a fluido potrebbe costituire un potenziale terapeutico per combattere il tumore stesso.

“L’esposizione del tumore a sollecitazione meccaniche ripetute comporta una vera e propria trasformazione del suo comportamento all’interno dell’organismo, che porta quest’ultimo ad attivare meccanismi di reazione analoghi a quelli adottati dai tessuti del sistema immunitario esposti ad infezioni virali. Dunque, questa trasformazione, se da un lato un lato conferisce al tumore resistenza a farmaci chemioterapici, potrebbe essere sfruttata come un’arma a doppio taglio per combattere il tumore stesso. In altre parole, stiamo cercando di fare leva sulla capacità di fluidificazione del tumore – anticipa Scita – per trasformare tale capacità da veicolo di aggressività tumorale ad arma per attivare il sistema immunitario. Il tumore passerebbe così da essere immunologicamente ‘freddo’, cioè non visibile al sistema immunitario, a uno immunologicamente ‘caldo’, quindi efficacemente trattabile con i moderni approcci d’immunoterapia”.

Gli avatar dei tumori

“In laboratorio abbiamo creato degli ‘avatar’ di tumori mammari e abbiamo utilizzato sofisticate tecniche di meccanobiologia e di imaging ad altissima risoluzione – raccontano Emanuela Frittoli e Andrea Palamidessi, primi autori dell’articolo – Abbiamo quindi confrontato le espressioni geniche del tumore liquido e di quello solido nella transizione solido-liquido indotta da RAB5A. Abbiamo così osservato che durante questo passaggio di stato la cellula tumorale, oltre ad acquisire fluidità e capacità invasiva, diventa sorprendentemente in grado di attivare il sistema immunitario innato, caratteristica che le consente di resistere alla chemioterapia”.

“Abbinando tecniche di microscopia elettronica e ottica – proseguono i ricercatori – abbiamo evidenziato a livello molecolare che i nuclei delle cellule tumorali tendono a rompersi e a rilasciare Dna nel citoplasma. Come dei sensori, si attivano quindi le proteine tipicamente preposte a combattere le infezioni virali. Queste proteine riconoscono la presenza di Dna nel citoplasma e innescano così uno stato infiammatorio, che aumenta l’aggressività e l’invasività del tumore, nonché la sua resistenza ai chemioterapici”.

E qui arriva la svolta. “Proprio facendo leva sull’attivazione del sistema immunitario innato favorito dalla fluidificazione – anticipa Scita – potremmo sfruttare la capacità di cambio di stato che RAB5A conferisce a questi tumori per renderli da immunologicamente freddi a caldi, aumentando l’efficacia dell’immunoterapia per neutralizzare il tumore stesso”.

Le prossime tappe

I risultati di questo studio sono stati finora ottenuti in laboratorio in “avatar” di tumori mammari: la prossima sfida sarà confermare i risultati in campioni di pazienti.

La presenza di RAB5A nei tessuti tumorali di pazienti potrà essere individuata con tecniche di istopatologia con anticorpi specifici o applicando i più moderni approcci di colorazioni a fluorescenza multiple messe a punto da Claudio Tripodo dell’Università di Palermo.

“Se i dati saranno confermati anche in studi clinici, il 70% delle pazienti in cui RAB5A non dovrebbe essere presente potrebbe andare incontro a regressione senza bisogno di un piano terapeutico, mentre il 30% in cui questa proteina dovrebbe essere espressa potrebbe essere trattata efficacemente con immunoterapia”, conclude Scita.

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