Matteo Messina Denaro, il tumore del colon e l’effetto pandemia

Matteo Messina Denaro
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Prima Pelè, poi Matteo Messina Denaro. Come il campione di calcio, il boss della mafia arrestato ieri è stato colpito da tumore del colon-retto, un cancro che si forma nei tessuti del colon (la parte più lunga dell’intestino crasso) o del retto e che ha risentito della pandemia e dell’impatto del virus sulla prevenzione. Fortune Italia ha voluto approfondire il tema con l’aiuto di due oncologi.

I fattori di rischio

“Esistono dei fattori di rischio per questo tumore, tanto che da qualche anno sono stati attivati gli screening per il colon-retto. E’ stata identificata come classe a rischio tutta la popolazione con età superiore ai 50 anni – spiega Sergio Alfieri, direttore del Dipartimento di Scienze Medico-chirurgiche e coordinatore del Centro Colon-retto della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs – Le persone dovrebbero ricevere a casa una lettera che le invita a sottoporsi gratuitamente allo screening del sangue occulto nelle feci, eseguito su tre campioni. Qualora uno di questi esami dovesse risultare positivo, si passa allo screening di secondo livello: la colonscopia”. In caso di esame negativo, lo screening si ripete dopo due anni.

Fra i soggetti a rischio ci sono anche persone con familiarità per patologie neoplastiche del colon-retto (lo screening in questi casi inizia a 45 anni). “Esistono anche patologie infiammatorie intestinali che costituiscono un fattore di rischio, come la rettocolite ulcerosa o la poliposi familiare, che possono essere precursori di un tumore al colon-retto”, aggiunge Alfieri. Lo screening è importante, “perchè se si identifica questa patologia in forma precoce, può essere trattata per via endoscopica, durante la colonscopia. Oppure si può procedere con un intervento chirurgico, prima che le cellule si diffondano e diano origine a metastasi”.

L’effetto pandemia

“Con la pandemia – sottolinea Alfieri – la popolazione italiana, soprattutto nel primo anno, ha avuto paura di andare negli ospedali per timore di Covid-19. Inoltre le strutture sanitarie si sono concentrare sul virus pandemico. Così – spiega Alfieri – si è fermato lo screening“.

Risultato? “Nei prossimi anni assisteremo a più patologie colorettali avanzate, che non potranno beneficiare dell’approccio endoscopico o dell’intervento chirurgico semplice, ma – precisa l’oncologo – dovranno passare attraverso la chemioterapia o interventi più complessi, come ad esempio l’asportazione di metastasi al fegato, primo organo dove si fermano le cellule cancerose che partono dall’intestino”.

Anche in caso di metastasi la malattia “può essere curabile: attraverso la chemioterapia e l’intervento chirurgico si può portare il paziente a essere libero dalla malattia, se le metastasi sono limitate a un organo. Se invece il tumore è molto avanzato, con più organi colpiti oltre al colon-retto, oggi la chemio e le terapie personalizzate possono essere molto efficaci, ma è difficile che ci sia una risposta completa”. Ecco perchè Alfieri sottolinea l’importanza di accendere i riflettori sulla prevenzione.

“Occorre sollecitare medici e istituzioni a uno screening attivo: non basta una lettera, ma occorrerebbe una campagna che sensibilizzi i cittadini sul fatto che un semplice esame” come quello del sangue occulto nelle feci, “oltretutto gratuito, può salvare loro la vita“. Non solo: “Il tumore del colon-retto – afferma lo specialista – deve essere trattato nei centri specializzati“. Il Gemelli è il primo centro in Italia per volumi: “Qui si tratta il maggior numero di pazienti con tumore del colon-retto in Italia, circa 800 l’anno. Dove c’è tanta esperienza da parte di tutta l’equipe, è possibile assicurare il miglior trattamento”, conclude Alfieri.

I numeri di questo tumore e il ruolo dei geni

“Secondo le stime Globocan 2020 fornite dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) – spiega dagli Stati Uniti Antonio Giordano, direttore dello Sbarro Institute for Cancer Research and Molecular Medicine di Philadelphia – il tumore del colon-retto rappresenta il 10% di tutti i tumori diagnosticati nel mondo, ed è terzo per incidenza dopo il cancro del seno e quello del polmone”.

“La malattia, abbastanza rara prima dei 40 anni, è più diffusa fra i 60 e i 75 anni, con poche distinzioni fra uomini e donne. Si stima che all’incirca il 2-8% di tutti i carcinomi colorettali e il 10-20% di quelli diagnosticati in età inferiore a 50 anni si sviluppi in individui che hanno un alto rischio su base genetica. La predisposizione genetica è associata a diverse condizioni ereditarie L’individuazione di soggetti a rischio elevato di su base ereditaria – dice Giordano – ha una significativa importanza ai fini della prevenzione, con gli obiettivi primari di ridurre la mortalità e la morbilità sia nei soggetti affetti che nei parenti sani portatori di variante patogenetica  in un gene di predisposizione”.

L’identificazione di forme ereditarie “si giova della possibilità di effettuare test di screening, e oggi in diversi centri questi test vengono eseguiti su tutti i tumori del colon-retto per identificare un deficit del Mmr attraverso analisi molecolari o tecniche di immunoistochimica. Questi test di screening rivestono un ruolo importante anche ai fini della terapia. L’immunoterapia è infatti diventata una realtà nel trattamento dei pazienti con tumore del colon-retto che mostrano difetti del complesso Mmr”, continua Giordano.

Il peso della dieta

“I fattori di rischio noti per il tumore del colon-retto – sottolinea Giordano – sono legati alla dieta, ai geni e ad altre cause di tipo non ereditario. Poiché si tratta di fattori piuttosto comuni, in un certo senso tutti sono a rischio. Molti studi hanno dimostrato che una dieta ad alto contenuto di grassi e proteine animali e povera di fibre è associata a un aumento dei tumori intestinali. Viceversa, diete ricche di fibre, caratterizzate da un alto consumo di frutta e vegetali, sembrano avere un ruolo protettivo. Obesità e sovrappeso costituiscono ulteriori fattori di rischio, in genere legati a una alimentazione e a uno stile di vita poco sani”, conclude Giordano.

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