Sindrome di Down in Italia, numeri e sfide

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Sono circa 40.000 le persone affette in Italia da Sindrome di Down, 1 bambino ogni 1.200 nati. Il 21 marzo è la Giornata mondiale della Sindrome di Down, un’occasione importante per accrescere la consapevolezza, abbattere i pregiudizi ancora ampiamente diffusi e andare nella direzione di una società sempre più inclusiva.

“With us, non for us” è il tema scelto quest’anno per la ricorrenza internazionale. “Insieme a noi, non al posto nostro”: una rivendicazione del diritto all’autodeterminazione. Quella del 21 marzo non è una scelta casuale: il 21esimo giorno del terzo mese dell’anno è un chiaro richiamo alla triplicazione del 21esimo cromosoma che genera la disabilità. La sindrome è infatti nota anche come Trisomia 21.

La sindrome

Descritta per la prima volta nel 1866 dal medico britannico John Langdon Down, la Sindrome di Down è la più diffusa causa genetica di disabilità intellettiva. Si manifesta perlopiù con un ritardo in alcune capacità cognitive e con particolari caratteristiche del viso e del corpo. Fu il medico francese Jérome Lejeune nel 1958 a scoprire la presenza di un cromosoma numero 21 in più. Negli ultimi vent’anni è notevolmente aumentata l’aspettativa di vita – che oggi si attesta intorno ai 60 anni – ed è diminuita la mortalità.

Diagnosi

Lo screening prenatale consiste di solito in un esame del sangue della madre, che viene eseguito nel primo trimestre, tra l’undicesima e la tredicesima settimana, e in un’ecografia che misura la translucenza nucale, ossia lo spessore della nuca del bambino. In caso di risultati anomali di questi esami, è necessario procedere con l’esame diagnostico: l’amniocentesi oppure il prelievo dei villi coriali. La sindrome non ha una cura che consenta di guarire. I progressi della medicina degli ultimi anni e una precoce presa in carico possono però garantire prospettive e qualità della vita inimmaginabili fino a poco tempo fa.

L’impegno del Bambino Gesù

In occasione della Giornata mondiale, l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, che segue 800 bambini e ragazzi con Trisomia 21, sottolinea l’importanza di un approccio multidisciplinare imperniato sulla centralità del bambino e di appositi percorsi clinici di transizione dall’età pediatrica a quella adulta.

La continuità assistenziale è infatti fondamentale per garantire una buona qualità della vita. Seguiti fino ai 18 anni d’età da appositi centri pediatrici, pazienti e famiglie si ritrovano poi privati di un punto di riferimento, e sono costretti a girovagare da uno specialista all’altro. Per questo motivo il Bambino Gesù ha siglato un accordo di collaborazione con il Policlinico Universitario A. Gemelli Irccs, al fine di assicurare continuità di cure e la complessa assistenza di cui i pazienti hanno bisogno nel delicato passaggio dall’età pediatrica a quella adulta.

Regressione

Dalla ricerca arrivano intanto nuove prospettive di cura per il trattamento dei casi di regressione della Trisomia 21, una manifestazione particolarmente grave che comporta la perdita rapida e anomala delle abilità di pensiero, di socializzazione e delle abilità necessarie per condurre le attività quotidiane. Il Bambino Gesù ha partecipato ad uno studio insieme ad altri centri americani, che ha coinvolto 51 pazienti con regressione, i cui risultati sono stati pubblicati sull’American Journal of medical genetics. Lo studio ha dimostrato che i pazienti affetti da regressione avevano un numero di disturbi psichici quattro volte superiore, un numero di fattori di stress sei volte superiore e un numero di sintomi depressivi sette volte superiore, rispetto al gruppo di controllo.

Terapia

La somministrazione di Immunoglobine endovena (Ivig) è stata confrontata con la terapia elettroconvulsiva e con altre terapie, risultando quella in grado di produrre il più alto tasso di miglioramento clinico. “I dati dimostrano che la regressione è trattabile con diverse forme di gestione clinica e ha un decorso variabile – spiega Diletta Valentini, responsabile del Centro Sindrome di Down del Bambino Gesù – Il nostro studio pone le basi per ricerche future, come lo sviluppo di misure dei risultati oggettive e standardizzate, e la creazione di una linea guida per la gestione clinica della regressione”.

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