Dopo oltre 13 anni di ricerche un team di studiosi italiani ha svelato il mistero della ‘bimba di pietra’. Protagonista la piccola Bea, una bambina affetta da una misteriosa e rarissima patologia che inizialmente si era manifestata con delle tumefazioni alle articolazioni.
Le radiografie e la Tac effettuate nel 2010 dai sanitari dell’Ambulatorio di Genetica Clinica pediatrica dell’ospedale Infantile Regina Margherita della Città della Salute di Torino mostrarono una serie di “calcificazioni” che stavano progressivamente trasformando la cartilagine della piccola in osso. Bea aveva appena 7 mesi, era una bimba vivace ed intelligente, ma ben presto le sue articolazioni si bloccarono, rendendo impossibili i movimenti di braccia e gambe.
Un caso mai visto prima
Gli esami radiologici mostravano un quadro sempre più grave, sconcertando anche i medici che si occupano di malattie rare: nessuno specialista aveva mai visto un caso come quello di Bea in tutto il mondo. La famiglia della piccola crea una Onlus – “Gli amici Del Mondo di Bea” – e si adopera per far conoscere il caso. La zia, Sara Fiorentino, pubblica ‘Leggera come una piuma – Il Mondo di Bea‘ (Pathos edizioni) per far conoscere la misteriosa malattia della bambina.
Beatrice Naso, la cui storia ha commosso il Paese, è morta a 8 anni nel giorno di San Valentino 2018 all’ospedale Regina Margherita di Torino.
La ricerca non si è fermata
Ma in questi anni la medicina è evoluta, nuove tecniche sono state sviluppate e i medici non si sono fermati. Ora un gruppo internazionale di ricercatori, coordinati dalla dottoressa Elisa Giorgio, ricercatrice dell’Università di Pavia e di Fondazione Mondino Irccs, è riuscito finalmente a identificare la causa della malattia di Bea, chiarendo come questa sia una malattia genetica non solo rarissima, ma semplicemente unica, come spiegano i sanitari su ‘Nature’. A trasformare la cartilagine in osso è un’anomalia cromosomica, come fra breve vedremo
Il team
La ricerca è iniziata attraverso la collaborazione tra i pediatri che avevano inizialmente approfondito il quadro clinico – ovvero Giovanni Battista Ferrero e Margherita Silengo, Università di Torino – e il laboratorio di Genetica Medica e malattie rare del professor Alfredo Brusco alla Città della Salute di Torino.
Per capire il complesso meccanismo alla base della malattia è stata necessaria una collaborazione con diversi Centri italiani e studiosi quali Marco Tartaglia, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, Massimo Delledonne, Università di Verona e Malte Spielmann, Università di Lubecca e Kiel (Germania).
Quando i legamenti e i muscoli diventano osso
Inizialmente erano state approfondite le cause note di malattie genetiche associate alle calcificazioni ectopiche, quadri clinici caratterizzati da formazione di osso in tessuti normalmente non ossificati, come muscoli, tendini e legamenti.
Questi disturbi, spiegano i ricercatori, sono solitamente causati da una mutazione genetica, come nella Fibrodisplasia ossificante progressiva (FOP), una rara malattia genetica in cui i muscoli ed i tessuti molli vengono gradualmente sostituiti dalle ossa. La FOP è causata da una mutazione nel gene ACVR1, responsabile dell’informazione necessaria per formare tessuto osseo nei vari distretti scheletrici. Quando questo gene è mutato, invia un segnale anomalo a vari tessuti che progressivamente calcificano e si trasformano in osso.
La malattia di Bea
La malattia della ‘bambina di pietra’ aveva molte similitudini con la FOP, ma si era presentata nelle prime settimane di vita, con un’evoluzione molto rapida e invalidante. Oltretutto le analisi genetiche avevano da subito escluso questa patologia.
Nel frattempo però il gruppo di ricerca aveva identificato, con una serie di approfondimenti, un’anomalia cromosomica unica, mai descritta in letteratura caratterizzata dalla presenza di un segmento del cromosoma 2 doppio, inserito sul cromosoma X della bambina.
Questa anomalia dei cromosomi, ovvero l’inserzione di una regione di un cromosoma su un altro, può portare ad un’espressione genica alterata. Si tratta di eventi rari, molto eterogenei tra loro, ed è assai complesso capirne le conseguenze biologiche.
Solo negli ultimi anni la tecnologia ha messo a disposizione dei ricercatori degli approcci estremamente complessi per poter studiare queste anomalie cromosomiche.
Un pezzo di cromosoma 2 in più
I ricercatori sono riusciti a comprendere che il pezzo di cromosoma 2 in più conteneva delle regioni in grado di attivare i geni sul cromosoma X nei tessuti sbagliati. In particolare, si è dimostrato che il gene ARHGAP36 produce una proteina in quantità molto più elevate dell’atteso, e lo fa nel tessuto sbagliato: la cartilagine. Proprio questo gene induce la formazione di tessuto osseo dove non dovrebbe essere presente.
“Questo studio è la dimostrazione di come la collaborazione tra gruppi di ricerca con competenze diverse sia la chiave per ottenere successi scientifici”, ha commentato la dottoressa Giorgio. “La ricerca ha bisogno di tempo e si costruisce sulle conoscenze che a mano a mano gli scienziati accumulano. Nel 2010 non avevamo i mezzi tecnologici né le conoscenze di base per capire la malattia di Bea”.
Proprio la dottoressa Giorgio nel 2015 aveva scoperto un meccanismo simile a quello che causa la malattia di Bea (chiamato in gergo tecnico “adozione di un enhancer”) come causa di una rara forma di malattia neurodegenerativa, l’ADLD, adesso uno dei filoni di ricerca del suo laboratorio a Pavia.
La definizione del meccanismo biologico alla base del quadro clinico ha permesso di dare alla famiglia della bambina una risposta attesa da molti anni. Una risposta che ci ricorda l’odissia per arrivare alla diagnosi delle malattie rare. Un viaggio lungo 13 anni, in questo caso.
Le possibili ricadute della ricerca
La vicenda della ‘bambina di pietra’ è davvero unica, ma studiandola gli scienziati possono trovare percorsi e meccanismi che potrebbero essere coinvolti anche in malattie più comuni. Lo studio ha infatti identificato un gene implicato nella formazione ossea, un’informazione del tutto sconosciuta fino ad ora.
Indagando su questo gene e sulla sua funzione è possibile fare nuova luce sulle malattie ossee nella popolazione generale. Ma potremo pensare a una strategia in grado anche di invertire questo meccanismo? Al momento, avvertono gli studiosi, è troppo presto per pensare ad un utilizzo pratico della scoperta. Ma aver fatto luce sul mistero della ‘bimba di pietra’ promette di aprire nuove vie alla ricerca.