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Rischio demenza legato all’assunzione prolungata di gastroprotettori, una nuova ricerca

Covid e cervello
Adyen Articolo
Velasco25

L’uso prolungato degli inibitori di pompa protonica, una classe di farmaci ampiamente utilizzati per la protezione dello stomaco, potrebbe essere associato a un aumento del rischio di sviluppare demenza nel corso del tempo. Questa nuova possibile connessione è emersa da uno studio condotto da ricercatori presso l’University of Minnesota di Minneapolis e recentemente pubblicato sulla rivista “Neurology”, edita dall’American Academy of Neurology. Sebbene i risultati siano interessanti, gli scienziati sottolineano che lo studio non dimostra un legame di causa-effetto tra questi farmaci e la demenza.

Gli inibitori di pompa protonica sono tra le terapie gastroprotettive più comuni. Studi precedenti hanno già messo in evidenza un legame tra l’uso a lungo termine di questi farmaci e un rischio maggiore di ictus, fratture ossee e malattie renali croniche. La dottoressa Kamakshi Lakshminarayan, una delle autrici dello studio, ha sottolineato che “l’uso prolungato [degli inibitori di pompa protonica] è stato collegato in studi precedenti a un rischio più elevato di ictus, fratture ossee e malattie renali croniche.” L’obiettivo del nuovo studio era comprendere se esistesse anche un legame tra questi farmaci e il rischio di sviluppare demenza.

La ricerca ha coinvolto quasi 6.000 individui con un’età media di 75 anni. Nel corso di 5 anni e mezzo, è emerso che circa il 10% delle persone coinvolte aveva sviluppato una forma di demenza. Tuttavia, il dato più significativo è emerso quando si è analizzato il gruppo di coloro che avevano assunto inibitori di pompa protonica per più di 4,4 anni: in questo caso, il rischio di problemi cognitivi era risultato essere più elevato del 30% rispetto a coloro che non avevano mai fatto uso di tali farmaci. Da notare che il fenomeno non è stato osservato in coloro che avevano assunto questi farmaci per periodi più brevi.

I ricercatori sono, tuttavia, estremamente cauti nell’interpretare questi risultati. La tipologia di studio utilizzata non permette di stabilire un rapporto diretto di causa-effetto tra l’assunzione di inibitori di pompa protonica e lo sviluppo di demenza. Inoltre, la dimensione del campione è relativamente piccola: tra coloro che avevano assunto i farmaci per lunghi periodi, solamente 58 individui avevano sviluppato una forma di demenza.

Lakshminarayan ha sottolineato che ulteriori ricerche sono necessarie per confermare questi risultati e per esplorare più a fondo le ragioni dietro a una possibile associazione tra l’uso prolungato degli inibitori di pompa protonica e un aumentato rischio di demenza. L’invito è quindi a considerare questi risultati con cautela e a continuare a indagare sui possibili legami tra queste terapie farmacologiche e le condizioni cognitive a lungo termine.

In conclusione, sebbene questo studio apra la strada a nuove domande e ricerche sul potenziale impatto degli inibitori di pompa protonica sulla salute cerebrale, è essenziale mantenere una prospettiva equilibrata e attendere ulteriori approfondimenti prima di trarre conclusioni definitive.

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