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Fibrillazione atriale, novità sul fronte delle terapie

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Adyen Articolo
Velasco25

Terapia su misura. Quando si pensa ai soggetti fragili, per età o per presenza di diverse patologie, e quindi politrattati, l’attenzione si deve concentrare non solo sull’efficacia dei trattamenti, ma anche sulla loro sicurezza. In questo senso, la fibrillazione atriale rappresenta un quadro paradigmatico della necessità di soppesare le conoscenze sui farmaci impiegati per ridurre il rischio di ictus, che in questa popolazione sale anche di cinque volte.

A segnalare quanto e come sia importante monitorare il paziente nella sua globalità giungono una volta di più i risultati di uno studio osservazione non interventistico, l’ETNA-AF, presentati al congresso della Società Europea di Cardiologia Esc2023 in corso ad Amsterdam. Sotto la lente d’ingrandimento ci sono i dati sul profilo di profilo di efficacia e sicurezza di edoxaban, uno dei NOAC disponbili.

L’analisi multivariata dello studio ETNA-AF Europe su 13.164 pazienti in dieci Paesi europei, mostrano che il trattamento con 30 o 60 milligrammi con edoxaban in questi pazienti dopo quattro anni risulta associato a un basso tasso annuo di mortalità per tutte le cause, ictus ischemico e sanguinamenti maggiori.

I tassi annualizzati di ictus, attacco ischemico transitorio ed eventi embolici sistemici sono stati bassi (0,6%/anno, 0,3%/anno e 0,1%/anno) con proporzioni simili in entrambe le coorti di entrambi i dosaggi. Capitolo sicurezza: i tassi di sanguinamento maggiore, di emorragia intracranica e di sanguinamento gastrointestinale maggiore sono stati bassi (rispettivamente 0,9%/anno, 0,2%/anno e 0,4%/anno). Tuttavia si è registrata una maggiore incidenza di sanguinamento maggiore e di sanguinamento gastrointestinale maggiore nei pazienti trattati con il farmaco al dosaggio di 30 milligrammi rispetto a quelli trattati a dosaggio doppio. In particolare, questi tassi di eventi più elevati erano potenzialmente dovuti alla popolazione più anziana – con una maggiore fragilità percepita – che riceveva il dosaggio di 30 milligrammi (27% di fragilità nei pazienti trattati con 30 milligrammi vs. 6,6% in quelli trattati con 60).

Sulla scorta di queste osservazioni, insomma, occorre puntare sul parametro fragilità. Come detto, questa condizione è molto comunque nei soggetti con fibrillazione atriale e richiede un approccio personalizzato al trattamento, come indicato nella Guida pratica dell’EHRA (European Heart Rhythm Association) sull’uso dei NOAC nella fibrillazione atriale. Questa attenzione va posta sia dai pazienti e dai familiari che dai medici, anche nella valutazione della fragilità reale rispetto a quella ipotizzata.

In questo senso una sotto-analisi nell’ambito dell’ETNA-AF Europe ha evidenziato che sia la fragilità percepita dai medici che quella oggettiva hanno un andamento simile in termini di outcome.

Un’analisi della fragilità in ETNA-AF Europe ha mostrato come un numero maggiore di pazienti sia stato percepito come fragile rispetto a quelli che sono stati valutati come oggettivamente fragili attraverso il Modified Frailty Index. In entrambi i gruppi di pazienti, la fragilità è stata associata a comorbilità aggiuntive, tra cui il diabete, l’insufficienza cardiaca e l’ipertensione. Insomma, l’importante è personalizzare le cure. Ma con una certezza sul loro valore.

I dati ETNA-AF a quattro anni rafforzano ancora una volta il beneficio clinico dell’uso dei NOAC nei pazienti affetti da fibrillazione atriale, in particolare in quelli in cui è necessario gestire con attenzione anche comorbilità come diabete, scompenso cardiaco o fragilità, e ciò rappresenta un’ulteriore rassicurazione per la nostra pratica clinica – segnala Raffaele De Caterina, Direttore della Divisione di Cardiologia Universitaria dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana – I risultati, insieme agli approfondimenti sul bisogno di una migliore caratterizzazione ai fini del trattamento dei nostri pazienti fragili affetti da fibrillazione atriale, evidenziano la necessità di fondare il processo decisionale sulle linee guida, ma di applicarlo in modo personalizzato a ogni paziente che trattiamo”.

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