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Medici, la dura vita degli specializzandi

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Velasco25 Articolo

Se il sogno di indossare il ‘camice bianco’ non si infrange sulle domande del quizzone – nell’ultimo test si andava da una citazione dei ‘Promessi Sposi’, alla definizione di deflazione – rischia di arenarsi al momento della specializzazione. Perchè in questa fase ci si trova a vivere una realtà difficile, in cui i giovani medici (e aspiranti dirigenti sanitari) sono sfruttati, sottopagati e spesso impiegati per coprire i turni peggiori. Ma soprattutto – e questo in realtà dovrebbe preoccupare anche i potenziali pazienti – si sentono formati poco e male.

Il sondaggio del sindacato Anaao Assomed, condotto su un campione di specializzandi medici e dirigenti sanitari (quindi biologi, chimici, fisici, psicologi, farmacisti), evidenzia tutta la fragilità del nostro Ssn. Che, di fatto, si regge su questi giovani medici ancora in formazione.

Come sottolinea Alberto Spanò, responsabile nazionale della Dirigenza sanitaria Anaao Assomed, l’indagine mette nero su bianco la “storica grave situazione che caratterizza le specializzazioni delle categorie della dirigenza sanitaria non medica, per le quali sono previsti gli stessi percorsi di formazione specialistica dei medici, con il medesimo ordinamento didattico e connessi obblighi di frequenza nelle strutture formative, in assenza di qualunque forma di riconoscimento economico”.

Le priorità

Non ha peli sulla lingua Pierino Di Silverio: alla luce dell’indagine il segretario nazionale Anaao Assomed chiede “un intervento urgente per migliorare le condizioni degli specializzandi in Italia. Serve un nuovo modello, più moderno, equo e rispettoso dei loro diritti, che valorizzi il loro ruolo fondamentale nel sistema sanitario nazionale. Solo così si potrà garantire un future migliore alla nostra sanità”. Ma vediamo nei dettagli come vivono, oggi, i giovani medici e dirigenti sanitari in formazione (tenete a mente questa definizione). A partire dai primi.

Dottorino in corsia

Per cominciare, il 50% degli specializzandi denuncia il mancato rispetto degli orari: spesso si ‘sforano’ le 38 ore settimanali previste dal contratto, il lavoro notturno è la norma per il 60% degli intervistati, spesso senza adeguati periodi di riposo. Solo il 26% degli specializzandi dichiara di lavorare 38 ore settimanali, mentre per circa il 30% la settimana lavorativa supera le 50 ore. E ancora, scorrendo il report leggiamo che il 50% degli specializzandi denuncia di non vedersi riconosciuti i sei giorni di assenza giustificata previsti dalla legge. Quanto alle ferie, gli specializzandi si vedono costretti a organizzarle con i colleghi per non creare disagi al servizio.

Stipendi e tasse universitarie

Per avere un quadro chiaro della vita di uno specializzando, aiuta partire dai numeri. Questi giovani pagano tasse universitarie annuali tra i 1.500 e i 2.500 euro, cifre che superano addirittura i 3.000 euro in un caso su 10. Non ricevono un vero stipendio, ma una borsa di studio. Uno specializzando in medicina percepisce circa 25.000 euro lordi l’anno: 22.700 di quota fissa e altri 2.300 (3.300 a partire dal terzo anno in poi) di variabile. Abbiamo chiesto qualche dettaglio ad Anaao Assomed: “Lo specializzando d’area medica è retribuito 1.652 euro al mese per dodici mensilità per i primi due anni e 1.711 euro per i successivi due o tre anni. Il medico assunto mediante il cosiddetto dl Calabria percepisce circa 2.600 euro su 13 mensilità”. A tutto questo si aggiunge la mancanza di un contratto di formazione.

I buchi nella formazione

Se la Specializzazione è un momento chiave per la formazione dei giovani medici, soltanto il 10% in realtà svolge tutte le attività previste dal programma. E il 20% degli intervistati non segue un programma formativo definito. Inoltre l’80% degli specializzandi si sente un tappabuchi più che un medico in formazione. E il 97% vede nel ‘decreto Calabria’ (che nel 2018 ha normato la possibilità per i medici specializzandi di essere assunti a tempo determinato, con automatica conversione del contratto a tempo indeterminato al conseguimento del titolo di specialità, a partire dal 2°anno di corso di specializzazione), un’opportunità per migliorare la propria situazione, grazie alla possibilità di partecipare a concorsi aperti.

E ancora, il 90% degli specializzandi ritiene che la formazione pratica debba svolgersi in ospedale, per così dire sul campo. E il 99% – praticamente la totalità – auspica una riforma del sistema formativo che ponga fine al monopolio dell’università e apra le porte al learning by doing negli Ospedali. Insomma, “lo specializzando rifiuta il monopolio dell’Università sulla formazione, approva e quindi promuove il learning Hospital, ma soprattutto – sintetizza Di Silverio, che in un (recente) passato ha guidato Anaao Giovani – lamenta come la formazione universitaria non riconosca il professionista come medico, bensì lo releghi al ruolo di eterno studente. La responsabilità che abbiamo come sindacato è quindi di allontanarci da una visione baronale e adeguarci, finalmente, al resto del mondo”.

E gli specializzandi dirigenti sanitari?

Il 98% degli intervistati ha denunciato l’attuale trattamento degli specializzandi non medici che, a parità di ordinamenti didattici e di modalità formative, non prevede alcun trattamento economico. Il 68% svolge comunque delle attività lavorative per sostenersi nel percorso formativo (con enormi disagi) e il 15% degli intervistati ha dichiarato di aver partecipato ai concorsi ex Decreto Calabria. In questo caso il guidizio sulla qualità formativa è più variegato: il 57% auspica una maggiore rotazione tra le strutture/ambulatori, il 60% ritiene che vada finalmente estesa la rete formativa ad Aziende ospedaliere ed Asl territoriali. Il 37% chiede di implementare l’attività di ricerca scientifica e il 44% di favorire ulteriore partecipazione ad attività di aggiornamento. Infine oltre il 90% degli intervistati auspica modalità di accesso alle scuole omogenee a quelle dei medici.

Insomma, “anche i non medici auspicano una riforma della formazione specialistica incentrata sulla contrattualizzazione del rapporto e sul coinvolgimento delle università ma anche delle strutture ospedaliere e territoriali del Ssn”, conclude Alberto Spanò.

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