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Social media e psiche: le parole che svelano lo stress dopo un trauma

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Adyen Articolo
Velasco25

I social media possono diventare uno strumento di analisi per comprendere lo stato emotivo dei soggetti al punto di favorire l’individuazione di chi deve affrontare uno stress post-traumatico? Nell’epoca in cui si ripropongono immagini, sensazioni, percezioni (e purtroppo a volte anche fake news, purtroppo) sulle piattaforme di condivisione, chi si occupa di psicologia e medicina può sperare di trovare dietro ad un post anche segnali di malessere.

E quindi, grazie all’intelligenza artificiale, si può sperare di giungere ad identificare i soggetti a rischio di PTSD, ovvero al disturbo da stress post-traumatico. Di cosa stiamo parlando? Di un particolare quadro riconoscibile tra i disturbi d’ansia che compare in seguito ad un evento traumatico sul fronte emozionale, ma anche dopo una catastrofe naturale o, come in questo caso, ad un’esperienza di salute che può letteralmente modificare la traiettoria psicologica e il modo di pensare per i timori che può determinare.

Ad accendere questa lampadina, prove alla mano, è uno studio degli esperti dell’Università di Birmingham pubblicato su Scientific Reports. L’indagine ha preso in esame una mole di dati impressionante, quasi 4 milioni di posto su X quando ancora si parlava di Twitter.   ha analizzato le proposte inviate dagli utenti sulla base di quanto riportato, in chiave positiva o negativa, rispetto a Covid. Il tutto, ovviamente, sfruttando speciali sistemi di apprendimento automatico, e quindi sfruttando l’AI, per analizzare i post riguardanti la pandemia.

Ovviamente, in chiave di introspezione psicologica su potenziali “pazienti” del tutto sconosciuti, gli studiosi hanno fatto riferimento a specifiche parole-chiave, partendo da un dato che potesse consentire di avere Covid come elemento scatenante da cui sgorgavano i post. Per scegliere la “semeiotica” verbale capace di indirizzare la potenziale ipotesi diagnostica a distanza, si è partiti dalla percezione dei soggetti e dai termini che potevano essere ricordati dai “cinguettii”.

Qualche esempio? Eccitazione eccessiva, evitamento, irritabilità, sussulti, agitazione. Il tutto senza dimenticare flashback, panico, incubi, sogni vividi. Poi hanno associato i tweet a rischio con la possibile sigla chiave PTSD, collegando il tutto (o meno) a Covid. Grazie allo studio, insomma, si è andati a vedere come sono cambiati i comportamenti di molti utenti della piattaforma di condivisione dopo la diagnosi. E si sono poste le basi per un possibile screening futuro delle risposte psicologiche delle persone in caso di pandemia, proprio grazie alla capacità di analisi di sistemi intelligenti di autoapprendimento.

Insomma, dai messaggi sulle piattaforme si potrebbe anche risalire al rischio psicologico. E, quindi, affrontare in termini di sanità pubblica eventuali potenziali ansie diffuse tra la popolazione, concentrando l’attenzione su chi in qualche modo si trova a segnalare il disagio via social.

La pandemia, in questo senso, ha rappresentato un fattore esterno capace di lasciare cicatrici invisibili, ma profonde, sul benessere psicologico. Al punto da diventare un potenziale movente per lo sviluppo di PTSD. Questo ci dice lo studio, senza ovviamente analizzare ogni singola persona che può mostrare segni di stress eccessivo in seguito al passaggio del virus e alle tante sollecitazioni informative ricevute.

Abbiamo vissuto un periodo in cui da un lato si è realizzata una minimizzazione dei pericoli e addirittura una completa rimozione, e, d’altra parte, il pericolo di estremizzazione dell’ansia.

Tutto questo, in qualche modo, si potrebbe traslare sui social. E a fronte di rischi di irrazionalità nelle risposte, fondamentale è ricercare l’equilibrio, tenendo presente che tutte le emozioni, dalla negazione fino all’allarmismo, alla prudenza sono destinate a convivere in ogni persona. Per dominarle, conviene modulare le reazioni integrando fra loro la consapevolezza di quanto avvenuto e i rischi futuri. A volte non è facile. E lo stress postraumatico può rappresentarlo. Magari anche sotto forma di messaggi sui social. Da analizzare. Per comprendere quanto avviene e porre le basi per aiutare chi ne ha bisogno. Con l’AI, per una volta, a fare da fedele strumento d’analisi di una mole di dati impossibili da valutare per l’uomo.

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