La sanità pubblica italiana ‘scricchiola’: il personale scarseggia (o si dà alla fuga), le diseguaglianze Nord-Sud si acuiscono, sale la spesa delle famiglie, costrette a pagare di tasca propria un numero crescente di prestazioni, oppure – in 4,5 mln – a rinunciare alle cure, spesso per problemi economici. Una fotografia, quella scattata nel settimo Rapporto di Fondazione Gimbe sul Servizio sanitario nazionale (Ssn) presentato oggi al Senato, che non fa sconti e fa dire al suo presidente, Nino Cartabellotta: “La vera emergenza del Paese è il Ssn”.
Eppure il Ssn “è una risorsa preziosa ed è pilastro essenziale per la tutela del diritto alla salute, nella sua duplice accezione di fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”, come afferma il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel messaggio inviato a Gimbe.
I soldi sul tavolo
Il Fabbisogno Sanitario Nazionale dal 2010 al 2024 è aumentato complessivamente di 28,4 miliardi, in media 2 miliardi l’anno, ma con trend molto diversi. Nel periodo pre-pandemico (2010-2019) alla sanità pubblica sono stati sottratti oltre 37 miliardi tra “tagli” per il risanamento della finanza pubblica e minori risorse assegnate rispetto ai livelli programmati. Negli anni 2020-2022 il Fabbisogno è aumentato di ben 11,6 miliardi, cifra assorbita dai costi della pandemia. Mentre per gli anni 2023-2024 il Fsn è aumentato di 8.653 milioni: tuttavia, nel 2023 1.400 milioni sono stati assorbiti dalla copertura dei maggiori costi energetici e dal 2024 oltre 2.400 milioni sono destinati ai rinnovi contrattuali del personale.
Le previsioni per il prossimo futuro “non lasciano intravedere alcun rilancio del finanziamento pubblico per la sanità: infatti, secondo il Piano Strutturale di Bilancio deliberato lo scorso 27 settembre in Cdm il rapporto spesa sanitaria/Pil si riduce dal 6,3% nel 2024-2025 al 6,2% nel 2026-2027. A fronte di una crescita media annua del Pil nominale del 2,8%, nel triennio 2025-2027 il Piano Strutturale di Bilancio stima una crescita media della spesa sanitaria del 2,3% annuo. “Questi dati – spiega Cartabellotta – confermano il continuo e progressivo definanziamento del Ssn, che non tiene conto dell’emergenza sanità”.
Chi paga da sè…
Rispetto al 2022, nel 2023 i dati Istat documentano che l’aumento della spesa sanitaria totale (+4.286 milioni) ha pesato sulle famiglie come spesa diretta (+3.806 milioni) o tramite fondi sanitari e assicurazioni (+€553 milioni), vista la sostanziale stabilità della spesa pubblica (-73 milioni). Ormai gli italiani sono “costretti a pagare di tasca propria un numero crescente di prestazioni sanitarie, con pesanti ripercussioni sui bilanci familiari. Una situazione in continuo peggioramento, che rischia di lasciare l’universalismo del Ssn solo sulla carta, visto che l’accesso alle prestazioni è sempre più legato alla possibilità di sostenere personalmente le spese o di disporre di un fondo sanitario o una polizza assicurativa”.
La spesa out-of-pocket nel 2021-2022 ha registrato un incremento medio annuo dell’1,6% (+5.326 in 10 anni), ma nel 2023 si è impennata aumentando del 10,3% (+€ 3.806 milioni) in un solo anno. “Una cifra enorme e largamente sottostimata, in quanto arginata da vari fenomeni: la limitazione delle spese per la salute, l’indisponibilità economica temporanea e, soprattutto, la rinuncia alle cure”.
… e chi rinuncia
Nel 2023 ben 4,48 milioni di persone hanno rinunciato a visite specialistiche o esami diagnostici pur avendone bisogno (dati Istat) per lunghi tempi di attesa, difficoltà di accesso (struttura lontana, mancanza di trasporti, orari scomodi) o problemi economici (impossibilità di pagare, costo eccessivo). E sempre per motivi economici nel 2023 hanno rinunciato alle cure quasi 2,5 milioni di persone (4,2% della popolazione), quasi 600.000 in più dell’anno precedente.
Prevenzione Cenerentola
Nel 2023 la spesa per i “Servizi per la prevenzione delle malattie” si riduce di ben 1.933 milioni (-18,6%) rispetto all’anno precedente. Questo fa della prevenzione la “sorella povera” del Ssn: viene allocato a questo scopo circa il 6% del finanziamento pubblico.
La grande fuga
Intanto il Ssn rischia di restare senza personale. Secondo la Fondazione Onaosi tra il 2019 e il 2022 la sanità pubblica ha perso oltre 11.000 medici per licenziamenti o conclusione di contratti a tempo determinato e Anaso-Assomed stima ulteriori 2.564 abbandoni nel primo semestre 2023. Oltre ai medici di famiglia, alcune specialità fondamentali non sono più attrattive per i giovani medici: medicina d’emergenza-urgenza, medicina nucleare, medicina e cure palliative, patologia clinica e biochimica clinica, microbiologia e radioterapia. E non va meglio nel caso degli infermieri, anzi. Con 6,5 operatori ogni 1.000 abitanti, l’Italia è ben al di sotto della media Ocse (9,8).
Divario Nord-Sud
In questo quadro, il servizio è già molto difforme. Rispetto ai Livelli essenziali di assistenza (Lea) nel 2022 solo 13 Regioni rispettano gli standard essenziali di cura, con Puglia e Basilicata uniche promosse al Sud, ma comunque in posizioni di coda. Una “frattura strutturale Nord-Sud nell’esigibilità del diritto alla tutela della salute” – confermata dai dati della mobilità sanitaria – e che precede l’autonomia differenziata e che, secondo Cartabellotta, assesterà “il colpo di grazia al Ssn, innescando un disastro sanitario, economico e sociale senza precedenti che avrà conseguenze devastanti per milioni di persone”.
Per evitarlo, Gimbe propone un piano di rilancio in 13 punti, con la terapia necessaria a salvare il nostro Ssn ‘malato’. Un programma che poggia su un nuovo ruolo per i pazienti, chiamati a diventare cittadini informati e responsabili, consapevoli del valore del Ssn.