Una donna leader in sanità si racconta, con un occhio al futuro della professione e della medicina. Convinta che l’AI debba “rendere più facile lavorare e più difficile sbagliare”
Proprio come nei gialli classici, di cui è appassionata, bisogna mettere insieme gli indizi come tessere di un mosaico – e leggere fra le righe – per comprendere meglio la figura di Roberta Siliquini, prima presidente donna della Società Italiana d’Igiene, Medicina Preventiva e Sanità Pubblica (SItI). Una prestigiosa società scientifica fondata nel 1878 da Gaetano Pini e guidata, nel tempo, da nomi come Achille Sclavo, Bruno Angelillo, Pietro Crovari, Gaetano Maria Fara e Antonio Boccia. Tutti uomini, fino a quando è arrivata lei.
Nata a Torino nel 1966, diplomata al liceo Classico, laureata in Medicina a pieni voti, Siliquini si è specializzata in Igiene e Medicina Preventiva con Giovanni Renga. Sempre elegante, spesso in bianco, mai un capello fuori posto e una passione per i viaggi che l’ha portata in giro per il mondo, Siliquini è una donna di scienza abituata a dire quello che pensa con un sorriso. Se da bambina voleva “diventare ambasciatrice”, il sogno di una carriera diplomatica si è presto scontrato con “un carattere” che le ha fatto preferire il camice bianco, finendo (piuttosto spesso) a raggiungere per prima posizioni di vertice.
Dal settembre 2014 al 2018 è stata presidente del Consiglio superiore di sanità, è componente di diritto del Comitato nazionale di bioetica dal settembre 2014, ma non ha mai rinunciato alla ricerca, firmando oltre 400 lavori scientifici. Dall’epidemiologia alle epatiti virali, negli ultimi anni la sua attività in questo campo si è indirizzata verso l’approfondimento del ruolo delle tecnologie – sanitarie e non – a forte impatto sulla salute, analizzando anche sfide e criticità della comunicazione sanitaria online, con particolare attenzione alla modificazione delle abitudini della popolazione e alle potenzialità del web.
Professoressa, ormai è iniziata la stagione dei malanni respiratori e dell’influenza: che cosa consiglia agli italiani?
Di approfittare della possibilità di vaccinazione contro i virus respiratori per tutte le categorie per cui è indicata. Ma anche di ricordare le buone norme di igiene respiratoria che abbiamo imparato a conoscere in questi anni: quindi mascherina se si hanno sintomi e si è in un ambiente chiuso e affollato, ma anche attenzione all’igiene delle mani. Inoltre chi interagisce con soggetti fragili e neonati farebbe bene a vaccinarsi anche se è un adulto sano, evitando di baciare o toccare con le mani sporche il bebè e di starnutirgli in faccia. A volte dimentichiamo che il sistema immunitario dei neonati non è ancora entrato in contatto con i patogeni e che si tratta di soggetti particolarmente vulnerabili.
Non solo infezioni respiratorie: l’Ecdc (Centro europeo per il controllo delle malattie) e l’Istituto superiore di sanità hanno segnalato l’aumento fra i giovani delle malattie sessualmente trasmesse.
Questo mi preoccupa molto, perché significa che non siamo riusciti a trasmettere le corrette informazioni sulla riduzione del rischio. Sono molte le patologie che stanno aumentando: sifilide, gonorrea, Hiv, clamidia e Hpv. Per quest’ultima infezione abbiamo un vaccino di cui è bene approfittare, perché sappiamo che l’Hpv è un virus oncogeno, dunque causa di cancro. Per tutte le altre malattie sessualmente trasmesse è sempre bene utilizzare protezioni duranti i rapporti sessuali. Anche perché questo tipo di infezioni, che talvolta possono sembrare banali e dopo un po’ guariscono, possono avere un impatto importante sulla fertilità. E questa è una delle cause della denatalità, con la quale il nostro Paese sta facendo i conti ormai da anni.
Perché in Italia è tanto difficile fare prevenzione?
Le ragioni sono diverse, ma vorrei dire che è difficile ovunque fare prevenzione. Questo per una sorta di paradosso. Pensiamo alla prevenzione vaccinale: siccome funziona, ha eliminato un bel po’ di malattie, cui non pensiamo più. È molto più facile far prendere una pastiglia per la pressione alta o un antibiotico a una persona che non sa cosa c’è dentro, piuttosto che far vaccinare una persona sana, che non ha un bisogno di salute immediato. Nel nostro Paese, poi, abbiamo investimenti molto bassi in prevenzione rispetto a ciò che spendiamo per le cure. E c’è una sfiducia generalizzata nei messaggi passati dalle istituzioni e dai professionisti sanitari.
Lei è la prima donna presidente di una società scientifica, quanto ancora si sente una mosca bianca?
Beh, sono stata anche la prima donna presidente del Consiglio superiore di sanità e devo dire che non mi sono quasi mai sentita una mosca bianca. Fortunatamente ho vissuto, sia con il mio papà che con il mio maestro, in un ambiente in cui il ruolo della donna veniva visto in modo moderno. Certo, oggi ancora non possiamo dire che ci sia una parità, anche perché altrimenti lei non mi farebbe questa domanda. Potremo dire di aver raggiunto la parità nel momento in cui nessuno si stupirà più, ad esempio, che una donna sia presidente di una società scientifica.
Facciamo un passo indietro: quando era piccola, cosa avrebbe voluto fare da grande?
Avrei voluto fare l’ambasciatrice, dunque una carriera diplomatica. Ma ho cambiato quasi subito idea: visto il carattere che si è sviluppato crescendo (sorride, ndr), ho capito che non sarebbe stata la mia strada. In effetti non sono tanto diplomatica (ride, ndr).
Guardiamo ai giovani: l’Italia fa i conti con la carenza di medici in particolari specialità. Voi come ve la passate?
Noi igienisti ce la siamo passata male per molto tempo. Devo dire che la pandemia ha fatto comprendere ai giovani medici come sia importante il lavoro di chi si deve occupare della comunità e dell’organizzazione dei servizi sanitari. Senza una buona organizzazione, anche il clinico lavora peggio. Quindi la nostra professione ha avuto un riconoscimento da parte dei giovani medici e negli ultimi anni, anche se non è una delle specializzazioni più ricercate (come capita invece con quelle che hanno più sbocchi nel privato), l’Igiene è stata riscoperta. E i giovani colleghi che vediamo nelle scuole di specialità sono davvero molto motivati.
Come pensa che l’AI cambierà la medicina?
L’intelligenza artificiale sta iniziando già a cambiare la medicina e lo farà sicuramente, anche se non a brevissimo termine, in modo molto positivo. Ma questo solo se sarà correttamente utilizzata, quindi con un governo forte e tenendo conto che deve essere un aiuto, ma non una sostituzione del professionista sanitario. L’AI, insomma, deve rendere più facile lavorare e più difficile sbagliare.
Roberta Siliquini, presidente della Società Italiana d’Igiene, Medicina Preventiva e Sanità Pubblica (SItI)