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Da Bordeaux a Pechino: la nuova era della chirurgia robotica

Chirurgia - Il dottor Alberto Breda nel corso di un intervento di chirurgia robotica.
Adyen Articolo
Velasco25

È davvero inusuale vedere un chirurgo di fama mondiale operare in giacca e cravatta, anziché nell’iconica tutina verde di sala operatoria. Ma è quel che hanno visto sui megaschermi dell’ultimo European Robotic Urology Symposium (Erus) un migliaio di urologi esperti in chirurgia robotica, convenuti a Bordeaux da tutto il mondo.

Una bizzarria relativa, visto che il professor Alberto Breda stava operando in una saletta del centro congressi, attraverso una speciale consolle cinese, un paziente che si trovava a 8.264 km di distanza, in un ospedale di Pechino.

Un first storico per la tele-chirurgia robotica. Davanti agli occhi dei mille di Bordeaux e dei tanti collegati da remoto è andata in scena la prima asportazione parziale di rene in chirurgia robotica, mai effettuata al mondo.

Una pietra miliare della storia della medicina, rimasta un sogno per quasi un quarto di secolo dopo la celeberrima ‘Lindbergh Operation’, la colecistectomia robotica eseguita dal professor Jacques Marescaux (fondatore dell’IRCAD di Strasburgo) da New York su una paziente di 68 anni a Strasburgo, con il robot ‘Zeus’.

Altro evento storico, ma non replicabile perché i tempi non erano ancora maturi per la tecnologia robotica, ma soprattutto per la velocità e la stabilità delle comunicazioni. Al contrario, l’intervento del professor Breda non resterà un ‘una tantum’. Il chirurgo italiano ha inaugurato il primo giorno di una nuova era per la chirurgia robotica.

“Abbiamo deciso – ci spiega Alberto Breda, vice-direttore del Dipartimento di Urologia della Fundació Puigvert di Barcellona, professore di Urologia al Mount Sinai di New York e presidente di Erus dal 2021 – di far arrivare a Bordeaux questa consolle cinese e di effettuare un intervento di nefrectomia parziale su un paziente di Pechino, a 8.600 km di distanza. Con una connessione ad hoc, abbiamo avuto una latenza inferiore a 130 msec, impercettibile all’occhio e al cervello umano. Per sicurezza, ho inviato al People’s Liberation Army General Hospital di Pechino (il cui direttore, il professor Xu Zhang, è un grandissimo chirurgo robotico) un mio assistente, per poter comunicare con lui in caso di problemi”.

La telechirurgia nasce negli anni ’90 negli Usa, come progetto delle Forze armate americane, mai decollato per l’eccessiva latenza delle connessioni. Dopo l’exploit di Marescaux nel 2001, per 20 anni non se ne è più parlato.

Poi è arrivato Covid e, mentre la Cina si chiudeva, scadevano i brevetti di Intuitive e altre company impegnate in chirurgia robotica. I cinesi hanno preso la palla al balzo.

Dopo aver fedelmente replicato il DaVinci, hanno abilitato i loro nuovi sistemi alla telechirurgia; nei tre anni di lock-down hanno messo in rete 37 ospedali e condotto una serie di studi pilota, facendo interventi a distanza di 2-3.000 Km.

Il futuro

I migliori chirurghi al mondo potranno operare da qualunque parte del globo, anche la più remota, senza spostarsi dal proprio ospedale.

“In Italia – ricorda Breda – solo il 15% degli ospedali ha accesso ad attività robotica (in Spagna il 10%), perché non dispone di robot e di chirurghi in grado di utilizzarlo. Mettendo solo le braccia robotiche, attraverso una consolle al Gemelli, al San Raffaele o all’Humanitas, sarebbe possibile operare presso gli ospedali di tutta Italia. Centralizzando la chirurgia robotica in un ospedale si potrà operare senza aumentare il numero dei chirurghi e senza spostarsi da Milano o da Roma. Tra le varie possibilità di sviluppo, alla quale tengo moltissimo, c’è quella di fornire servizio umanitario in zone remote dell’Africa o dell’Asia. Un’utopia diventata realtà qualche settimana fa, quando Vipul Patel, guru della chirurgia robotica della prostata, ha effettuato una prostatectomia su un paziente in Angola, operando da Orlando, a 12 mila km di distanza. Anche in questo caso, grazie a una company cinese, la MicroPort, che ha messo il suo sistema robotico Toumai® in un ospedale in Angola”.

Le difficoltà

Ma la scienza corre più veloce della giurisprudenza e questo rischia di far naufragare qualsiasi progetto. Quale assicurazione coprirà le spese se c’è un problema? Fondamentale per questo la volontà politica e la collaborazione con le assicurazioni.

“Su tutta questa materia – riflette Breda – occorre legiferare. I governi attuali in Italia e in Spagna hanno grande attenzione per la sanità, anche se i budget non sono infiniti. Mi auguro che questi Paesi diano ascolto agli esperti di questo campo e appoggino i futuri progetti di telechirurgia. Uno dei problemi è proprio il budget: robot meno cari e telechirurgia potrebbero superare questo ostacolo. La telechirurgia può consentire di centralizzare la chirurgia robotica in pochi centri di riferimento per diversi ospedali. Un altro progetto al quale stiamo lavorando è la (tele)chirurgia d’urgenza, che manca negli ospedali in zone remote, costretti a trasferire i pazienti, anche se a volte non c’è tempo per farlo”.

Chi è Alberto Breda

Alberto Breda è figlio d’arte. Suo padre Guglielmo è stato uno dei più grandi urologi italiani dello scorso secolo, pioniere della chirurgia mininvasiva: nel 1991 ha siglato il registro operatorio della prima nefrectomia laparoscopica mai effettuata in Italia, con estrazione del rene per via vaginale. Un visionario.

E il figlio non è da meno. Laureato a Padova, Alberto studia urologia per seguire le orme paterne. “Un’ottima scuola, quella del professor Francesco Pagano, ma molto lontana da quel che si vede in Grey’s Anatomy”.

Tanta cultura insomma, ma poca sala operatoria. Alberto decide dunque di fare l’ultimo anno di specializzazione a Los Angeles, alla UCLA. È il 2004 e lui non ha le credenziali per operare i pazienti; come tecnico di laboratorio, passa tanto tempo presso lo stabulario dell’università, dove si esercita in interventi di chirurgia robotica sui maiali.

“Potevo finalmente muovere le mani – ricorda il chirurgo – e, preso dall’entusiasmo, quell’anno ho pubblicato 10 importanti lavori. Il mio mentore di allora, Peter Schulam, mi suggerì allora di fare gli esami per essere riconosciuto medico e specialista negli Usa. L’8 dicembre nasceva mio figlio, il 12 dicembre volai a Padova per specializzarmi in Urologia e il giorno successivo tornai a Los Angeles, dove ebbe inizio la mia carriera”.

Assunto come clinical instructor (una posizione paragonabile a quella di ricercatore), Breda si occupa di trapianto di rene, di donazione di rene da vivente e dei primi casi di chirurgia robotica (UCLA fu il primo ospedale negli Usa ad acquistare il robot DaVinci nel 2002); nel 2006 diventa professore associato.

“Nel 2008 è nata la mia seconda figlia – ricorda Breda – vivevamo a Santa Monica ed eravamo tutti felici di stare a Los Angeles, compresa mia moglie che è napoletana. Ma cominciavo a sentire nostalgia dell’Italia. Ho provato a tornare, ma senza risultati”.

Finché non spunta il dottor Humberto Villavicencio, all’epoca direttore della Fundació Puigvert di Barcellona, ‘Mecca’ dell’urologia internazionale e prima in Spagna a dotarsi di un robot DaVinci (il professor Villavicencio è stato il primo chirurgo spagnolo a effettuare un intervento robotico – una prostatectomia radicale – nello stesso anno), che invita Breda a dirigere l’Unità di trapianti renali della Puigvert.

Non è l’Italia, ma è l’occasione giusta per tornare in Europa. Nel settembre 2009 Breda arriva a Barcellona. Non conosce nessuno, neppure la lingua, ma è forte dell’esperienza maturata alla UCLA in chirurgia mininvasiva.

Nel 2015 l’italiano è stato il primo in Spagna a fare un trapianto di rene robotico; curiosamente, lo stesso giorno (era il 9 luglio) viene realizzato un trapianto robotico anche a Tolosa (Francia); Barcellona e Tolosa sono stati i due centri pionieri in Europa del trapianto robotico.

“A Barcellona – ricorda il chirurgo – ho costruito un dream team di tante persone e dal 2012 ho avviato un programma di fellowship in urologia che consente a chi vuole super-specializzarsi di lavorare al mio fianco per un anno (le application sono al completo fino al 2029)”.

La Fundació Puigvert

È una fondazione non profit convenzionata, un centro ‘monografico’ di 11 piani, interamente dedicato all’urologia, con 1.600 dipendenti, 44 urologi, 22 nefrologi, 20 radiologi, altrettanti anestesisti, 18 andrologi.

Un centro top, che reinveste tutti i proventi nella ricerca e nella tecnologia. È a due passi dalla Sagrada Familia, che si vede dal tetto, mentre dal lato opposto si scorge il mare. Incredibile anche la location di questo ospedale all’avanguardia.

È all’interno del campus universitario dell’Hospital Sant Pau, un capolavoro modernista realizzato dall’architetto Lluís Domènech i Montaner e inserito nell’elenco del Patrimonio Mondiale dell’UNESCO. Una parte della Puigvert occupa uno dei padiglioni modernisti, mentre accanto sorge la parte moderna.

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