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Alzheimer: diagnosi a 41 anni? L’analisi del neurologo

Alzheimer demenza
Adyen Articolo
Velasco25

Il titolo è di quelli che colpiscono allo stomaco: I (don’t) have dementia. Ma anche il video postato su YouTube da Fraser non scherza: l’insegnante e ricercatore australiano di 41 anni, barba curata, occhialini e maglietta beige, racconta con pacatezza i primi segni del ladro dei ricordi, l’Alzheimer.

Storie normali di vita, come potrebbero capitare a tutti noi. Colpisce che a farlo sia un giovane uomo, che descrive con pacatezza l’arrivo dei sintomi della demenza. Forse ne avrete sentito parlare: la video testimonianza di Fraser ci ha messo un po’, circa due mesi, ma ha fatto il giro del mondo ed è arrivata anche da noi. Quanto è eccezionale il suo caso? E quali sono i segnali che dovrebbero allarmaci?

Fortune Italia lo ha chiesto a Paolo Maria Rossini, responsabile del Dipartimento di Scienze neurologiche e riabilitative dell’Irccs San Raffaele Roma.

Sotto i 50 anni: la prima paziente di Alzheimer

“Anche se solo una relativamente piccola percentuale di casi di demenza in generale e di Alzheimer in particolare inizia prima dei 50 anni, il caso del signor Fraser non può certo essere definito come eccezionalmente raro”, dice Rossini.

“Basti pensare, infatti, che la prima paziente su cui proprio il professor Alzheimer ha posto la diagnosi di una malattia organica del cervello ad andamento progressivo che da lui ha poi preso il nome – racconta il neurologo – era stata da lui conosciuta in un ospedale psichiatrico dell’epoca, dove era stata ricoverata a 49 anni per disturbi della memoria e dell’orientamento, deliri di persecuzioni e deliri di gelosia“.

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La corsa della malattia

“Dopo pochi anni – ricorda ancora Rossini – la paziente è deceduta e il professor Alzheimer ha dimostrato nel cervello di questa signora la presenza di tre parametri che poi sarebbero diventati i ‘marcatori’ della malattia da lui descritta: 1) importante perdita di volume (atrofia); 2) importante presenza di placche di beta-amiloide negli spazi tra le cellule nervose; 3) importante presenza di grovigli neurofibrillari di proteina Tau all’interno delle cellule nervose”.

Insomma, il primo caso di Alzheimer – inteso come lo scienziato, ma anche l’omonima malattia – è stato precoce. Ma i sintomi sono angoscianti, e in una società che invecchia il peso della malattia rischia di diventare schiacciante.

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Il racconto di Fraser

nel suo video Fraser ha raccontato cosa lo abbia convinto a rivolgersi ai medici. Due episodi, il primo dei quali si era verificato a 39 anni, mentre era insieme alla sua compagna. “Eravamo seduti a guardare un film, quando la mia compagna si è alzata ed è andata via, dicendomi che lo avevamo visto il mese prima. Io l’ho guardato comunque per intero e il finale è stato una sorpresa completa. Non avevo alcun ricordo di averlo visto”, ha detto l’uomo.

Come facciamo un po’ tutti in caso di un blackout di memoria, la tentazione è quella di auto-rassicurarsi. Ma la presunta scomparsa della figlia adolescente, una sera, mette  l’uomo davanti al suo problema. “Era tardi e ho iniziato a dare di matto. Era come se fossi in preda al panico”.

La ricerca spasmodica della ragazza, senza successo. “Sono arrivato al punto in cui stavo per chiamare la polizia. Poi lei mi ha chiamato, dicendomi ‘Ehi papà, sono appena stata a vedere il film, ricordi che te l’ho detto?'”. Evidentemente no.

I vuoti di memoria si sono moltiplicati, come la brain fog. “A volte è difficile anche solo pensare lucidamente, sembra che una nebbia ti occupi il cervello, senza riuscire a concentrarti bene sulle cose. Sei essenzialmente in una foschia”, racconta Fraser, che si è sottoposto a una serie di controlli ricevendo, così, la diagnosi: Alzheimer giovanile.

Le strategie e i fattori di rischio

In attesa di terapie in grado di arginare l’erosione dei ricordi, il ricercatore australiano riccorre a messaggi multipli e bigliettini per fissare le informazioni.

Ma come mai l’Alzheimer si manifesta a questa età? “Nelle forme giovanili – dice Rossini – convergono certamente numerosi ‘killer’ che aggrediscono la struttura e la funzione del cervello: una predisposizione geneticamente determinata (non è dato di sapere la storia famigliare del signor Fraser), una possibile pregressa perdita di neuroni e circuiti nervosi per esempio per un grave trauma cranico, o uno stile di vita dannoso per il cervello”. Insomma, sono diverse le possibilità di far entrare nella nostra mente il ladro dei ricordi.

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