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Pazienza: nel mondo di oggi è ancora una virtù?

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Velasco25 Articolo

La pazienza di Giobbe, in un mondo così drammaticamente legato al tempo ed alla fretta, sembra quasi un controsenso. Ma non c’è dubbio che forse riuscire ad avere in minimo di calma in più se gli eventi non si riproducono secondo i tempi che ci siamo prefissati potrebbe aiutarci a stare meglio.

Anche se magari quella che rappresenta una virtù per chi si occupa di etica e filosofia rischia di diventare (ingiustamente) una magagna in un tempo dettato dalla fretta e dalla competizione. Detto che, naturalmente, ci sono persone più disposte ad aspettare e a prendere la vita con filosofia e altre che non sopportano anche solo qualche minuto di attesa, comprendere il nostro rapporto con la pazienza può aiutarci, nella vita di ogni giorno così come nella realtà professionale.

E allora? Allora proviamo a ripercorrere una serie di ricerche che sono andate ad indagare il vero “succo” dell’impazienza, le tipologie psicologiche dei soggetti che più sono esposti a soffrire nell’attesa e soprattutto i meccanismi che generano la sensazione negativa. Protagonista di questi studi, apparsi su ‘Personality and Social Psychology Bulletin’, è Kate Sweeny (ovviamente con altri collaboratori), ricercatrice in psicologia presso l’Università della California Riverside. 

Nella definizione di impazienza il percorso di Giobbe è davvero esplicativo. Nella Bibbia gli vengono tolti tutti gli affetti e i beni, per verificare la sua devozione. E il protagonista, con pazienza, sopporta tutto e si rialza, fino ad essere ampiamente ricompensato. Insomma, la pazienza va considerata una virtù. E come una caratteristica delle persone buone. Ma è proprio così?

Secondo Sweeny potrebbe forse essere una sorta di resilienza compensatoria di fronte alle vessazioni e alle frustrazioni della vita di ogni giorno. E allora l’impazienza non è necessariamente una caratteristica negativa, ma piuttosto una forma di reazione quasi naturale, addirittura un’emozione che sviluppiamo di fronte ad ingiustizie, a richieste irragionevoli o inappropriate.

Il tutto viene da una serie di ricerche psicologiche che portano a connotare tre scenari in grado di sviluppare una forte impazienza, concatenandosi tra loro. In primo luogo conta il valore della posta in gioco: se abbiamo un appuntamento importante e ci troviamo la strada bloccata per il traffico o il treno viaggia in ritardo, rischiamo di sviluppare una forma di impazienza cui è difficile fare a meno.

Altrettanto importanti sono le caratteristiche dell’attesa: se ci troviamo in condizioni spiacevoli, magari nell’atrio di una stazione senza una sala d’aspetto o una panca su cui posare le terga, diventare impazienti e nervosi è quasi la norma.

Infine, a guidare la nostra percezione di ingiusta attesa, e conseguente impazienza, è il fastidio che si crea per un ritardo inaccettabile, come può accadere per una prestazione diagnostica urgente. Ecco, in tutti questi casi diventare impazienti sarebbe del tutto normale, anche e soprattutto se l’attesa va oltre le previsioni. Non conterebbe insomma quanto si aspetta in assoluto, ma il tempo di sosta rispetto alle previsioni. Così si diventa impazienti. Anche se magari, nel fondo dell’animo, si ha il temperamento di Giobbe e si è portati a giustificare gli altri. 

L’introspezione psicologica degli esperti, in ogni modo, va a spegnere la percezione di parità che si potrebbe avere di fronte alla pazienza. Non tutti siamo uguali, insomma. E di fronte a situazioni frustranti, le reazioni non sono le stesse per tutti.

Tecnicamente, i tratti di stabilità psicologica e apertura verso gli altri portano comunque ad avvicinarsi alla strategia di Giobbe, così come i soggetti più capaci a gestire le emozioni e più bravi nell’autocontrollo si sono mostrati anche più inclini a pazientare.

Perché poi, alla fine, l’empatia conta. E magari ci aiuta ad essere accomodanti e meno impazienti. Forse perché così facendo ci serviamo di strategie che ci consentono di regolare le emozioni e superare meglio le attese. 

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