Il numero uno dell’Enpam Alberto Oliveti racconta la sua insolita carriera e analizza sfide e priorità per la previdenza e la medicina.
Una passione per la medicina generale che risale agli anni del liceo, quando era una giovane stella del basket. E una – più tardiva – per la previdenza, che ha segnato gli ultimi decenni. Alberto Oliveti, classe 1953, è un medico col pallino per i conti, nato a Roma ma cresciuto in molti luoghi: da Mogadiscio, ad Ancona, solo per cominciare. Si è mantenuto agli studi con lo stipendio da giocatore professionista (inanellando 7 stagioni in serie A con la Virtus Pesaro e una con il Chieti), specializzandosi nel frattempo in Pediatria. E passando poi per Senigallia, dove ha esercitato come medico di famiglia per quarant’anni. Dal 2012 è presidente dell’Enpam, l’Ente di previdenza e assistenza di medici e odontoiatri italiani, dopo esserne stato prima consigliere (dal 1995), e poi vicepresidente (dal 2010).
È stato confermato per il suo secondo mandato quinquennale nel 2020, mentre dal 2023 è membro del Consiglio di amministrazione di Banco Bpm. Siede inoltre nei comitati consultivi, strategici e di indirizzo di numerosi fondi di investimento ed Sgr partecipati dall’Enpam. Dal 2015 è anche presidente dell’Adepp, l’associazione che rappresenta gli enti previdenziali privati italiani. “L’Italia – ci dice – è un Paese che invecchia, ma questo non ci dispiace: vuol dire avere persone che vivono più a lungo. Però l’ottica del mercato non può essere applicata a questo settore: più la sanità funziona, più produce anni di vita non sempre correlati alla buona salute. Ecco perché dico che le logiche perfette di mercato non possono essere applicate al mondo della salute e della sanità”. Piuttosto occorre fare bene i conti e avere capacità di programmazione.
L’Italia sta invecchiando, così come i suoi medici. In che modo l’Enpam sta affrontando la sfida demografica e in che condizioni di salute è la cassa dei ‘camici bianchi’?
Come Fondazione abbiamo un numero di pensionati importante: a fronte di 365.000 professionisti attivi, abbiamo 130.000 pensionati medici più altri 45.000 familiari. Quindi, se vogliamo fare un ragionamento grossolano, siamo a un rapporto di due a uno, che sottende un sistema maturo.
Dal punto di vista previdenziale l’attenzione è focalizzata a mantenere la componente attiva. L’importanza del flusso contributivo è fondamentale, ma lo è anche la capacità di far rendere il patrimonio al meglio, per finanziare le prestazioni. Dunque è importante lavorare per un volano virtuoso che tuteli l’accesso alla professione.
In quest’ottica come valuta la riforma dell’accesso a Medicina?
Siamo una Repubblica democratica fondata sul lavoro, ma la salute può essere considerato un prerequisito di libertà e, quindi, di potenzialità lavorativa. Ecco allora che la programmazione in Medicina è fondamentale.
Il numero programmato significa capacità di pianificazione, ovvero di determinare correttamente non solo la quantità, ma anche la tipologia qualitativa dei professionisti che servono al Paese. Ad esempio, una corretta programmazione mi fa dire che domani potrò aver bisogno di dieci chirurghi toracici, otto addominali, quattro chirurghi plastici, per parlare solo di chirurgia.
Ma oggi nessuno vuol fare più il chirurgo addominale. E questo non va bene. Quindi, tornando alla questione di partenza: numero chiuso no, numero aperto no, ma numero programmato sì.
Come? Sulla base di un sistema sanitario fatto di tre macro-aree fondamentali: l’ospedale, il territorio e la medicina pubblica e preventiva. Occorre individuare le specializzazioni coerenti per qualità e numero, necessarie per far funzionare questi tre macro aggregati del Ssn.
Una bella sfida. Ma in queste settimane siamo anche alle prese con la proposta di passaggio alla dipendenza dei medici di famiglia: lei si è già detto contrario, può spiegarci perché?
Il medico di famiglia è un medico del territorio, all’interno del quale la casa sarà il primo luogo di cura. Io credo che questo operatore della salute sia il medico del cittadino. Ogni cittadino ha diritto alla scelta di un professionista con il quale intraprende una relazione che potenzialmente è a vita.
Grazie a questa relazione nel tempo si acquisisce la conoscenza della salute della persona, del suo lavoro, della famiglia. Una vicinanza preziosa, dal momento che il tempo medico è un tempo clinico. Quindi credo che il medico di famiglia debba essere un professionista che ha una relazione fiduciaria e prolungata nel tempo con le persone che lo hanno scelto. Questo questo fa sì che ottenga una remunerazione legata alla relazione con il cittadino: abbiamo un libero professionista con il suo bagaglio di competenze, che risponde al cittadino paziente.
Se il medico è un dipendente, risponderà invece al datore di lavoro e a logiche che magari esulano dalla salute. Penso alle logiche di mercato, al rispetto della regolamentazione, alla burocrazia, che superano il concetto cardine di relazione medico-paziente. Pensiamo poi che il medico di famiglia, e il pediatra di libera scelta, ormai sono raggiungibili anche via mail o via whatsapp per un quesito, una domanda, un consiglio. Disponibilità che esulano dal rapporto di dipendenza.
Tra l’altro lei ha anche detto che se ci fosse questo passaggio, alla fine le casse dell’Enpam sarebbero fortemente penalizzate…
Non ci piove. In passato abbiamo già quantificato in 84 miliardi di euro il costo per le casse dell’Enpam se la contribuzione dei medici di famiglia e dei pediatri di libera scelta venisse attratta dall’Inps, in quanto dipendenti. E lo scenario peggiore si avrebbe facendo diventare subordinati solo i nuovi medici.
Circa 1,8 mld di euro vengono dal rapporto di lavoro convenzionato; se mi si leva il 40% del flusso contributivo, il sistema è morto, c’è poco da fare. Ma occorre anche tener conto della questione giuridica: è prevedibile un mare di ricorsi da parte dei medici.
Oggi qual è lo stato di salute dell’Enpam?
Io le do un dato scritto sulla sabbia, perché il bilancio 2024 non è stato ancora approvato (al momento in cui andiamo in stampa, ndr), ma nell’ultimo anno l’ente ha incassato 120 milioni di euro in più di quello che ha speso nella sua attività previdenziale.
Il saldo totale del 2024, considerando anche l’apporto degli investimenti, sarà invece superiore al miliardo. Credo che, quando porteremo il bilancio all’esame il 24 aprile, i dati definitivi diranno che l’Enpam ha chiuso il 2024 con un patrimonio totale più vicino a 28 che a 27 miliardi, considerando i valori di mercato.
Il patrimonio accumulato è importante, anche grazie a investimenti diversificati con un approccio molto attento, che cerca di evitare le imprudenze e quindi la speculazione che, come sappiamo, porta con sé dei rischi ed è molto volatile. La nostra policy di investimento è al contrario molto attenta. Detto questo, continuiamo a portare buoni rendimenti: negli ultimi due anni fra il 6 e il 7% netti.
Abbiamo accennato alla sfida demografica. Secondo lei c’è bisogno di rivedere i criteri e, soprattutto, l’età di pensionamento nel nostro Paese?
Pensiamo a un elastico con due colori, da una parte c’è la vita lavorativa, dall’altra la pensione: tenendolo fermo solo da un capo lo allunghiamo, ma vediamo che il rapporto tra i due colori non cambia. Quindi io credo che se l’elastico della vita si allunga, dovrà farlo anche il momento in cui scatta il pensionamento.
Se si decidesse di non rispettare questo criterio, bisognerà mettere in atto dei meccanismi di tutela. Naturalmente si possono fare modifiche per alcune categorie, pensiamo a chi fa lavori usuranti, o alle donne. Ma ci deve essere un ragionamento, non si possono lasciare le cose così, tirare la moneta in aria e limitarsi ad aspettare.
Torniamo all’Enpam: quali sono le sue priorità per il 2025?
Al primo posto c’è la questione della dipendenza dei medici di medicina generale, di cui abbiamo parlato.
Al secondo c’è l’attenzione a non perdere contribuenti: dobbiamo ancorare all’Italia i nostri iscritti, magari facendo ricorso a mutui a tassi agevolati o a prestiti professionali che inducano i giovani ‘camici bianchi’ a scegliere il nostro Paese come destinazione lavorativa.
Terza cosa: il gender pay gap, un fenomeno che fa sì che le colleghe – sempre più numerose – non guadagnino ancora quanto i maschi che fanno la stessa professione. Uno scoglio che dobbiamo superare. Altrimenti le conseguenze le abbiamo sotto gli occhi: in Italia si fanno sempre meno figli e l’età media al primo parto è di 32 anni.
Presidente, le chiedo di fare un passo indietro: quando era bambino che lavoro avrebbe voluto fare da grande?
Quando ero ragazzino ho avuto la fortuna di vivere in una città, Pesaro, che amava il basket. Ho iniziato nelle giovanili e sono arrivato a 16 anni a giocare in Serie A (per sette anni), un sogno. All’epoca mi hanno fatto un’intervista sul giornale, forse ‘Il Resto del Carlino’, che mia madre ha poi ritagliato. Ricordo che mi chiedevano che cosa avrei voluto fare da grande, e io ho risposto che volevo fare il medico di famiglia con specializzazione in Pediatria.
Quindi esattamente quello che poi ho fatto: il medico di tutti, dai bambini agli anziani. E devo dire che sono riuscito a realizzare in pieno quello che volevo, pur giocando a basket e con la soddisfazione di potermi mantenere durante gli studi universitari facendo sport da professionista. Poi, a un certo punto, mi sono appassionato alla previdenza e da lì è partita la seconda parte della mia vita.
Lo stato di salute dell’Enpam
Il bilancio preconsuntivo 2024 e quello di previsione per l’anno in corso
L’Enpam nasce come ente pubblico ma nel 1995 diventa una fondazione di diritto privato. Stando al bilancio preconsuntivo approvato a fine 2024 la Fondazione Enpam prevede per l’anno in esame un avanzo di circa 484 milioni di euro. Un risultato che ha ribaltato le previsioni, che erano negative per 84 milioni di euro.
Il miglioramento di 568 milioni rispetto al bilancio di previsione si deve – hanno precisato da Enpam – soprattutto all’ottimo andamento della gestione patrimoniale, che ha apportato quasi 826 milioni di euro. Note positive anche dal saldo previdenziale.
Le entrate nel preconsuntivo si attestano a 3,7 miliardi (circa 270 milioni in più rispetto alle previsioni), mentre le prestazioni fanno registrare uscite per 3,9 miliardi (circa 100 milioni in meno del previsto).
Numeri importanti, legati agli investimenti, che fanno guardare con ottimismo ai prossimi anni, “ancora più sfidanti”, per il presidente Alberto Oliveti. Che, non a caso, elenca fra le sue priorità, il fatto di “ancorare all’Italia i nostri iscritti”.
Quanto al bilancio di previsione per il 2025 le stime, realizzate secondo il principio della massima prudenza, mettono in luce un disavanzo di circa 252 milioni di euro. La previsione è stata formulata tenendo conto della gobba previdenziale che determinerà un rilevante incremento degli oneri pensionistici, con un disavanzo di gestione di circa 839 milioni di euro.
Un dato questo che, come accaduto nel 2024, dovrà essere fortemente controbilanciato dal positivo andamento della gestione patrimoniale, il cui avanzo è stato quantificato in circa 711 milioni di euro.
L’articolo originale è stato pubblicato sul numero di Fortune dell’aprile 2025 (numero 3, anno 8)
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