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Protesi: in aumento gli interventi all’anca, l’intervista

Le protesi all'anca impiantate sono arrivate a quota 242.045.
Adyen Articolo
Velasco25

L’esercito di italiani con parti di ricambio in metallo o ceramica si ingrossa di anno in anno. A colloquio con lo specialista delle protesi d’anca Alessandro Calistri.

Stiamo diventando bionici. L’idea di un chip nel cervello, per potenziare le funzionalità umane o bypassare i limiti imposti da traumi o malattie, ha ancora un sapore di fantascienza, nonostante i tanti lavori in corso (pensiamo alla Neuralink di Elon Musk, ma anche all’Epfl in Svizzera o alla Scuola Sant’Anna di Pisa).

Ma la realtà è che gli esseri umani ‘potenziati’ circolano già  fra noi. Basta guardare i numeri delle protesi: parti di ricambio in metallo o ceramica – talvolta realizzate su misura – che consentono di sostituire un singolo osso o un’articolazione danneggiata (da lesioni o malattie), per tornare a fare la propria vita senza dolore.

La longevità in salute è anche questo: diventare un po’ bionici. Sostituendo vertebre, anche e ginocchia. Pensiamo che dal 2001 al 2019 il numero totale di impianti di protesi ortopediche in Italia è più che raddoppiato, arrivando a 220.447 interventi, 25 ogni ora.

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Il trend e lo stop per Covid

Una crescita continua, in parallelo con l’invecchiamento della popolazione, certificata dai dati del Registro Italiano ArtroProtesi (RIAP), il sistema istituito presso l’Istituto superiore di sanità che raccoglie e analizza i dati degli interventi e dei dispositivi impiantati. Che però si è bruscamente interrotta nel 2020, causa pandemia. “Una flessione pesante, recuperata in parte negli ultimi anni”, spiega Alessandro Calistri, chirurgo ortopedico e docente in Chirurgia protesica dell’anca presso la Scuola di Specializzazione Ortopedia e Traumatologia della Sapienza, nonché responsabile dell’Anca Clinic di Roma.

Nel caso dell’anca gli interventi sono passati dai 74.408 del 2001 ai 127.384 del 2022, anno in cui le protesi totali impiantate in Italia sono arrivate a quota 242.045. “Oggi abbiamo 29 anni di storia per le protesi in acciaio, questo ci permette di dire che si tratta di un sistema estremamente affidabile, con risultati eccellenti soprattutto negli uomini”, evidenzia lo specialista.

“Per sopperire al problema di biocompatibilità, che riguarda in particolare le donne, siamo arrivati al rivestimento completamente in ceramica: una soluzione sottoposta a indagini cliniche per più di 6 anni, che quest’anno ha ricevuto la certificazione in Australia e l’autorizzazione all’impianto. In Europa questo tipo di protesi è stato utilizzato a livello di studi clinici in alcuni centri di riferimento e, da questa estate, dovrebbe ricevere la marcatura CE ed essere disponibile, ma ancora una volta solo in centri di riferimento”. Questo perché “i risultati sono legati all’esperienza del chirurgo e al fatto che l’intervento sia eseguito in strutture specializzate che trattano grandi numeri di pazienti”, puntualizza Calistri, che esegue 500-550 interventi all’anca ogni anno, nel 50% dei casi protesi di rivestimento, per il resto protesi totali e revisioni di impianti.

Lui e lei

“Le donne con la menopausa sono a maggior rischio osteoporosi – continua Calistri, che è anche docente in Dispositivi protesici presso la Facoltà di Ingegneria della Sapienza – e hanno necessità di ricorrere a protesi più spesso rispetto agli uomini. E questo vale a maggior ragione per l’anca. Voglio anche ricordare che l’attività fisica regolare è il modo più efficace per contrastare osteoporosi e artrosi”, due patologie che possono rendere necessaria una protesi.

Poi c’è il caso dei traumatismi da sport: “Soprattutto nei podisti si possono verificare le cosiddette fratture da stress, determinate da un allenamento eccessivo. Sono difficili da diagnosticare, perché non si diventa sintomatici subito, ma la diagnosi si fa quando si prova dolore. I  tempi di recupero sono più lunghi rispetto alla frattura normale”.

I tempi per una protesi d’anca

L’intervento di protesi d’anca in un centro di riferimento dura al massimo un’ora: “Il paziente non perde troppo sangue e non necessita di trasfusioni. Dall’immediato post operatorio – continua il chirurgo ortopedico – inizia a muoversi e in 36-48 ore si viene dimessi potendo camminare e fare le scale autonomamente con due stampelle. Nel nostro centro dopo 15 giorni concediamo la possibilità di togliere una stampella e di guidare. Mentre dopo un mese si esegue una radiografia, si rimuovono le stampelle e si può tornare a fare sport a basso impatto, come nuoto e ciclette. A tre mesi di solito il paziente può fare tutto”. Senza provare più dolore.

Due in un colpo

Meglio operare un’anca alla volta o farle insieme? “Chi ha una patologia bilaterale oggi ha la possibilità di eseguire due interventi contemporaneamente. – assicura lo specialista – Questo abbatte i rischi legati al fatto di dover entrare due volte in sala operatoria. Ormai la letteratura ci dice che l’intervento in simultanea bilaterale, fatto in centri ad alti volumi, abbatte il pericolo di complicanze per il paziente”.

Quanto dura una protesi d’anca

“I dati dei registri e quelli dei Centri ad alti volumi ci consentono di avere più di 30 anni di follow up di protesi totali in ceramica su ceramica, mentre per i rivestimenti in acciaio ci siamo quasi – precisa – Ebbene, la percentuale di fallimento negli over 65 anni è molto bassa. Nei pazienti più giovani le protesi totali non hanno gli stessi risultati, ma il rivestimento ha invertito questo dato dandoci un vantaggio: si comporta in modo eccellente anche nei pazienti giovani. Voglio ribadire però un concetto: a fare la differenza, più che il materiale, è come viene eseguito l’intervento. Più la biomeccanica e l’anatomia vengono rispettate, più l’impianto durerà. Oggi abbiamo protesi che potrebbero durare all’infinito, a patto di essere state installate nel modo corretto”.

L’articolo originale è stato pubblicato sul numero di Fortune Italia dell’aprile 2025 (numero 3, anno 8)

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