L’impatto degli anziani: secondo il Pension Report 2025 di Allianz Research, l’evoluzione demografica metterà a dura prova la tenuta delle economie mondiali.
Le economie mondiali sono pronte all’era della Generazione Silver? Entro il 2050 il numero di anziani over 65 dovrebbe quasi raddoppiare, passando da 857 milioni a 1,57 miliardi, stando alle stime delle Nazioni Unite.
Un esercito di tempie grigie avanza, mentre – complice il tasso di fecondità in calo in Occidente – la popolazione in età lavorativa si contrae: entro la metà del secolo ci saranno 26 over 65 ogni 100 persone tra 15 e 64 anni, rispetto alle 16 di oggi. Questa è la ‘fotografia’ da cui parte il nuovo Pension Report 2025, realizzato da Allianz Research e firmato da Michaela Grimm, Senior Economist Demography & Social Protection e Arne Holzhausen, Head of Insurance Wealth & Esg Research.
Un tema che in Italia conosciamo bene. Ecco allora che diventa fondamentale chiedersi se i sistemi pensionistici pubblici siano preparati ad affrontare lo tsunami del cambiamento demografico. “Da un lato, la sostenibilità finanziaria a lungo termine dei sistemi pensionistici deve essere garantita per evitare di gravare eccessivamente sulle future generazioni più giovani. Dall’altro – scrivono gli autori del report – questi sistemi devono essere adeguati e garantire a una quota crescente di anziani uno standard di vita dignitoso”.
I sistemi pensionistici in cui i contributi della popolazione attiva vengono utilizzati per finanziare le pensioni non saranno in grado di soddisfare entrambi i requisiti a lungo termine, prevedono i ricercatori.
Il giusto equilibrio e la sfida legata a un esercito di anziani
La sfida sarà trovare il giusto equilibrio tra sostenibilità e adeguatezza dei sistemi pensionistici e una previdenza integrativa finanziata dal capitale. La strada verso un prolungamento dell’età lavorativa sembra tracciata. Anche perché consentire ai lavoratori più anziani di rimanere all’interno del mercato del lavoro più a lungo “sarà essenziale anche per mantenere in equilibrio i sistemi pensionistici pubblici”, suggerisce il report.
Rispetto all’ultimo rapporto sulle pensioni, realizzato da Allianz Research due anni fa, i sistemi pensionistici globali sono cambiati. “Ma non sempre verso una maggiore sostenibilità nel lungo periodo”, scrivono gli autori del nuovo documento.
La buona notizia è che un numero crescente di Paesi intende adattare l’età pensionabile all’aspettativa di vita. Ci sono stati inoltre miglioramenti verso una transizione più flessibile dal lavoro alla pensione, nell’ottica – come abbiamo visto – di mantenere i lavoratori più anziani sul mercato più a lungo. Interventi in alcuni casi accelerati dalla “carenza sempre più evidente di lavoratori qualificati”.
Tuttavia, in alcuni casi, le riforme pensionistiche annunciate o adottate sono state annacquate o la loro efficacia è stata posticipata, segnalano Grimm e Holzhausen. In alcuni paesi europei, poi, l’afflusso di rifugiati e migranti ha frenato (almeno temporaneamente) l’invecchiamento della popolazione. Tuttavia, l’immigrazione non sarà sufficiente a proteggere i sistemi pensionistici delle società che invecchiano, avvertono gli esperti.
Quest’anno, i 71 Paesi dell’Allianz Pension Index (Api) hanno registrato un punteggio medio di 3,7, il che suggerisce che “i sistemi pensionistici globali necessitano di ulteriori riforme per bilanciare sostenibilità e adeguatezza”, sintetizzano gli autori.
L’indice si basa su tre sottoindici (punti di partenza, sostenibilità e adeguatezza) e tiene conto di 40 parametri.
Ogni parametro è valutato su una scala da 1 a 7, con 1 che segnala l’assenza di necessità di riforme. Se guardiamo ai risultati, la Danimarca ha il sistema pensionistico meglio preparato di tutti i Paesi (con 2,3 punti), mentre la necessità di ulteriori riforme pensionistiche appare molto forte in Sri Lanka (5).
Tuttavia, non c’è un Paese che superi indenne tutti e tre i sottoindici. Dei primi dieci Paesi in cui i sistemi pensionistici appaiono relativamente meglio preparati per affrontare il cambiamento demografico, solo Danimarca e Svezia sono tra quelli con la minore pressione sulle riforme in ciascun sottoindice.
E l’Italia? Si piazza nella top 20 (al diciassettesimo posto), con 3,4. A penalizzare, non poco, il nostro Paese sono le sue ben note caratteristiche demografiche.
Dando uno sguardo al resto del mondo, scopriamo che gli Emirati Arabi Uniti sono in cima al sottoindice dei punti di partenza. Questo sottoindice valuta il ritmo del cambiamento demografico, l’indebitamento pubblico e gli standard di vita generali, ovvero i prerequisiti strutturali che qualsiasi riforma pensionistica deve tenere in considerazione. Sotto questo aspetto gli Emirati Arabi Uniti hanno ottenuto il punteggio migliore, con una media di 2,3, grazie a una popolazione relativamente giovane, seguiti da Australia e Israele, che hanno ottenuto anche loro un buon punteggio per gli standard di vita elevati, sebbene le medie totali di 2,6 e 2,9 riflettano classifiche leggermente più deboli rispetto al futuro margine di manovra finanziario.
In ogni caso un mercato del lavoro funzionante “è il prerequisito chiave per qualsiasi riforma pensionistica di successo”, ricordano gli autori.
L’età della pensione: anziani a 50 anni?
Una curiosità: l’età della pensione per gli uomini oggi va dai 50 anni in Nigeria ai 67 anni in Australia, Danimarca, Grecia, Israele, Italia, Paesi Bassi e Norvegia, mentre per le donne oscilla dai 50 anni in Kuwait, Nigeria e Sri Lanka ai 67 di Australia, Danimarca, Grecia, Italia, Paesi Bassi e Norvegia.
Top 20 Allianz Pension Index
Danimarca 2,3
Paesi Bassi 2,6
Svezia 2,6
Giappone 2,7
Nuova Zelanda 2,8
Israele 3,0
Australia 3,2
Regno Unito 3,2
Norvegia 3,2
Stati Uniti 3,2
Bulgaria 3,3
Belgio 3,3
Taiwan 3,3
Germania 3,3
Portogallo 3,3
Canada 3,3
Italia 3,4
Rep. Ceca 3,4
Francia 3,4
Lussemburgo 3,4
L’articolo originale è stato pubblicato sul numero di Fortune Italia dell’aprile 2025 (numero 3, anno 8)
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