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Parkinson: effetto inquinamento, il Pm10 aumenta i rischi

Pm10 Parkinson
Adyen Articolo
Velasco25
Quanto contano i geni e quanto invece l’ambiente nel fare la differenza per la salute neurologica? Un’interessante risposta arriva dalla ricerca italiana sulla malattia di Parkinson. Stando infatti ai dati del progetto Moli-sani – che da 20 anni segue circa 25.000 adulti residenti in Molise – l’inquinamento pesa non poco sul rischio di ammalarsi. In particolare, sono i livelli di Pm10 – le polveri sottili che avvelenano l’aria delle nostre città – a moltiplicare le insidie. Riaccendendo i riflettori sull’importanza dell’approccio One Health.
 
A firmare l’ultima ricerca su questo tema, apparsa sul ‘npj Parkinson’s Disease’, sono gli studiosi di Irccs Neuromed di Pozzilli, Università LUM di Casamassima (Bari), Università dell’Insubria (Varese), Sapienza Università di Roma e altre istituzioni italiane (Inail, Cira, Dep Lazio e Asrem).
Al centro dello studio una malattia che, stando alle stime, colpisce più di 300mila italiani, non solo anziani. Secondo un’analisi del 2024 di IQVIA Italia, inoltre, i nuovi casi tra gli under 60 sono in crescita, con un esordio che può verificarsi già a partire dai 40 anni. Solo nell’ultimo anno, sono state diagnosticate 16.000 persone, che hanno iniziato il trattamento. Lo studio è parte del progetto Pnrr Age-IT che studia gli effetti dell’inquinamento atmosferico e il cambiamento climatico sulle patologie legate all’invecchiamento.

I veleni dell’aria e la salute neurologica

Come evidenzia Licia Iacoviello dell’Università Lum di Casamassima (Bari), responsabile dell’Unità di Epidemiologia e Prevenzione del Neuromed, lo studio “aggiunge un tassello importante al quadro dei danni che l’esposizione a inquinanti può provocare soprattutto in una popolazione fragile come gli anziani. Evidenziando l’urgenza di politiche ambientali mirate a ridurre le emissioni di particolato fine, a tutela non solo della salute respiratoria e cardiovascolare, ma anche di quella neurologica”. Ma vediamo meglio la ricerca.

La ricerca sui molisani

Il team ha valutato l’esposizione delle ‘cavie umane’ ad alcuni inquinanti ambientali, in particolare le cosiddette Pm10, particelle inferiori a 10 millesimi di millimetro (µm) che –  proprio per via delle ridotte dimensioni – possono penetrare nelle vie respiratorie e venire assorbite dall’organismo. Grazie ai dati forniti dall’Arpa Molise, provenienti da 14 stazioni di monitoraggio, è stato possibile ricostruire un quadro dettagliato dell’ambiente in cui ciascun partecipante ha vissuto nel corso degli anni. Quindi le informazioni sono state incrociate con la comparsa di casi di Parkinson.
A illustrarne i risultati è Alessandro Gialluisi, professore associato di Statistica Medica presso l’Università Lum di Casamassima (Bari) e ricercatore dell’Unità di Epidemiologia e Prevenzione del Neuromed: “Un incremento dei livelli di Pm10 nell’aria si associa a un notevole aumento del rischio di sviluppare il Parkinson. Questa associazione, osservata in soggetti che in partenza erano liberi da patologie neurologiche, appare indipendente da una serie di altri fattori di rischio che includono l’età, il sesso, altre patologie prevalenti e fattori occupazionali”.

Polveri sottoli, Parkinson e lipoproteina (a)

In particolare i sospetti del team si sono concentrati sulla lipoproteina(a), già nota per il suo ruolo nel rischio cardiovascolare e nel trasporto del colesterolo, che interagisce con l’alfa-sinucleina, una proteina che gioca un ruolo chiave nel funzionamento dei neuroni, in particolare nella trasmissione sinaptica. La lipoproteina(a) appare come un possibile mediatore della relazione tra Pm10 e rischio di Parkinson, spiegandone “una piccola ma significativa parte”, dicono i ricercatori. “Naturalmente saranno necessari ulteriori studi per chiarire a fondo il suo ruolo”, avverte Gialluisi.
Il Parkinson è una delle principali cause di disabilità nella popolazione anziana. “Comprendere i fattori ambientali che possono contribuire al suo sviluppo – sottolinea Alfredo Berardelli, professore emerito di Neurologia pressoalla Sapienza e coordinatore dell’Unità di Ricerca e di Neurofisiopatologia Clinica del Neuromed – è fondamentale per pensare a strategie di prevenzione efficaci, che possano affiancarsi agli sforzi in atto nella ricerca farmacologica”. Per fare davvero la differenza, in particolare in un Paese che invecchia.
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