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Ricerca: ‘caccia’ ai cervelli dagli Usa? Cosa serve all’Italia

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Adyen Articolo
Velasco25

Il braccio di ferro tra il più antico ateneo americano e l’amministrazione Trump e i nuovi orientamenti rispetto alla ricerca rischiano di avere un profondo impatto su uno degli ecosistemi più fertili e produttivi per la scienza mondiale. Perchè, ormai è chiaro, è aperta la ‘caccia’ ai cervelli in fuga dagli Stati Uniti.

Dopo il bando da 50 mln di euro anninciato dal ministro dell’Università e della Ricerca Anna Maria Bernini sono arrivati i 500 mln di Ursula von der Leyen annunciati a Parigi (con polemiche).

L’invito ai ricercatori è chiaro: scegliete l’Europa della scienza. E l’obiettivo è intercettare e attrarre giovani talenti. Dimostrando – con fatti e finanziamenti – che nel Vecchio Continente il clima è cambiato. “Abbiamo verificato che ricercatori che avevano trovato approdi formativi altrove stanno invertendo la tendenza per tornare in Europa e, sperabilmente, in Italia”, ci aveva detto Anna Maria Bernini. “In un momento in cui purtroppo gli Stati Uniti disinvestono nella ricerca, noi strainvestiamo: da qui al 2026 il Mur investirà circa 11 miliardi di euro sulle infrastrutture di ricerca’”, ha calcolato il ministro nelle scorse settimane.

Ma siamo davvero pronti ad attrarre i migliori talenti della ricerca? Fortune Italia lo ha chiesto a Francesco Branda, classe 1994, ricercatore dell’Università Campus Bio-Medico già nella lista dei ’40 Under 40′ e ideatore, insieme a Massimo Ciccozzi e Fabio Scarpa, di  ‘Gabie’: un nuovo sito tutto italiano che permette di avere in tempo reale la situazione mondiale e nazionale delle epidemie in corso.

Branda non ha dubbi: per trasformare l’Italia in un hub della ricerca “dobbiamo garantire continuità, visione e soprattutto il coraggio di cambiare paradigma”.

Perchè scegliere l’Europa (e l’Italia)

Ma cosa dovrebbe spingere uno scienziato americano a presentare un’application nel Vecchio Continente? “L‘Europa, che ha una sua tradizione accademica, ma anche stabilità istituzionale e i fondi Horizon, ha molto da offrire ai ricercatori scontenti dell’era Trump – riflette Branda – L’Italia però parte da una posizione più fragile: senza un piano di lungo termine, rischiamo che questi nuovi fondi restino un’operazione di facciata o una tantum. I ricercatori non emigrano – o rientrano – solo per lo stipendio. Ma lo fanno per ecosistemi scientifici dinamici, libertà di esplorare idee nuove e di lavorare in ambienti attrezzati e stabili. E in Italia questi elementi sono troppo deboli per essere davvero competitivi su scala globale”.

Il limbo dei contratti a termine

La vita dei ricercatori in Italia non è semplicissima. “Occorre predisporre contratti stabili e trasparenti, non quel limbo di contrattini a termine, assegni, borse con cui fa i conti il ricercatore italiano medio”, avverte Branda.

“Non possiamo attrarre menti brillanti con offerte che non possano garantire dignità e futuro. Servono percorsi chiari di crescita, basati sul merito. Occorrerebbe anche – aggiunge lo scienziato – garantire una certa flessibilità rispetto alla burocrazia che oggi imbriglia molti colleghi e rischia di ostacolare lo stesso progetto di ricerca finanziato. Servono infrastrutture all’altezza, laboratori avanzati dotati di AI e tecnologie, che non devono essere privilegio di pochi centri di eccellenza. Inoltre occorre poter manterene le proprie collaborazioni a livello globale: insomma, non si possono far rientrare persone che poi vengono chiuse in un laboratorio e isolate dal mondo”.

Francesco Branda

Un’agenzia per la ricerca

Potrebbe essere utile un’agenzia per la ricerca sulla scorta dei National Institutes of Health? “Sì, purchè non venga costruita con le stesse logiche che hanno zavorrato altre strutture pubbliche italiane. Un ente di questo tipo – auspica Branda – dovrebbe centralizzare le risorse, distribuendole in modo strategico e meritocratico, definendo le priorità nazionali e colmando i vuoti in settori emergenti o trascurati. Ma anche valutando l’impatto della ricerca con metodi qualitativi e non solo quantitativi. E promuovendo l’innovazione interdisciplinare, che è la vera chiave delle grandi scoperte contemporanee”.

… che non è un lusso ma un investimento strategico

La scienza, insomma, deve essere libera per correre veloce. “Occorre una riforma culturale che rimetta al centro la ricerca come bene pubblico. L’iniziativa della ministra Bernini è un primo passo importante, ma dobbiamo garantire a questo progetto continuità, visione e soprattutto coraggio. Per troppo tempo in Italia la ricerca è stata penalizzata da una precarizzazione selvaggia e da una narrazione miope, che la considerava un lusso anzichè un investimento strartegico. Se vogliamo trasformare l’Italia in un hub europeo – conclude Branda – dobbiamo costruire un ecosistema che non si limiti a bandi estemporeanei, ma riconosca il valore del pensiero critico e dell’innovazione”. Solo così sarà possibile attrarre davvero i migliori cervelli (e trattenere quelli che formiamo a caro prezzo).

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