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Sturion (J&J Italia): “Ecco cosa frena le imprese del pharma”

Johnson & Johnson, Sturion pharma leader
Adyen Articolo
Velasco25

Il numero uno di J&J Innovative Medicine Italia e le criticità che frenano la crescita delle imprese nel pharma.

Il 2024 “è stato un anno straordinario per la farmaceutica italiana, come confermano gli ultimi dati di Farmindustria: il valore della produzione ha raggiunto i 56 miliardi di euro, di cui 54 dall’export. La vera sfida sarà renderlo la regola, non l’eccezione”.

Parola di Mario Sturion, Managing Director di J&J Innovative Medicine Italia, convinto che sia arrivato il momento di “affrontare alcune criticità che da troppo frenano la competitività del nostro Paese, puntando a un cambio di paradigma nella governance della spesa sanitaria. È urgente rivedere il meccanismo del payback, che sta minando la sostenibilità del settore. Un comparto che, nel 2023, ha generato per l’Italia un valore pari a quasi una manovra finanziaria”.

Quali sono le sfide maggiori per le aziende del pharma?

Le imprese farmaceutiche italiane devono confrontarsi con un Effective Tax Rate (ETR) fra i più alti in Europa. Aggravato da oneri specifici come promo tax, limiti alla deducibilità delle spese promozionali e congressuali e, ancora, il payback. Purtroppo l’ultima legge di bilancio non l’ha affrontato in alcun modo, nonostante le criticità che il meccanismo continua a generare siano evidenti e riconosciute a più livelli.

Il sistema presenta un difetto di programmazione, con una forte incongruenza tra la definizione del tetto di spesa per gli acquisti diretti e l’andamento della stessa, in cronico sfondamento. Basti pensare che dal 2013 al 2023 il settore farmaceutico ha versato ben 19,2 miliardi di euro in varie forme di payback. Sono necessari interventi di politica industriale sanitaria lungimirante, in grado di sostenere la competitività dell’Italia nel contesto globale.

India e Cina stanno guadagnando terreno rapidamente nella produzione di principi attivi farmaceutici e nell’attrazione di investimenti in ricerca, anche grazie a normative più snelle e a una visione industriale chiara. Come regione abbiamo ancora molte carte da giocare – un sistema accademico d’eccellenza, una forza lavoro qualificata e una storica vocazione all’export – ma la finestra per invertire la rotta si sta chiudendo.

L’ombra dei dazi ne è un esempio. Però, se vogliamo che l’Italia e l’Europa rimangano protagoniste della medicina del futuro e del pharma, servono scelte coraggiose per attrarre investimenti e trattenere i talenti. Questo, con l’obiettivo di garantire cure sempre più innovative a tutti i cittadini.

Lei guida una multinazionale Usa: come guarda al nostro Paese?

L’Italia è da sempre un mercato strategico per Johnson & Johnson Innovative Medicine. Non parliamo solo di numeri – come i circa 1.400 dipendenti tra Milano e Latina – ma del ruolo che il Paese gioca nel contribuire concretamente alla nostra missione globale: trasformare la vita delle persone. Il nostro sito di Latina ne è la dimostrazione più evidente. È un hub produttivo d’eccellenza al centro della supply chain globale, con oltre 4 miliardi di compresse prodotte ogni anno.

Stiamo vedendo i primi segnali di medicina del futuro: farmaci viventi, terapie digitali… cosa ha in cantiere un’azienda del pharma che ha scelto di mettere l’innovazione anche nel nome?

Oltre che nel nome, l’innovazione è nel nostro Dna e la nostra pipeline riflette quest’ambizione verso la medicina di precisione, le terapie avanzate e la genomica.

Circa il 30% dei nuovi lanci previsti tra il 2024 e il 2030 riguarderà trattamenti personalizzati, sviluppati grazie all’identificazione di biomarcatori specifici, per colpire in modo sempre più mirato le malattie, riducendo gli effetti collaterali e aumentando l’efficacia delle terapie.

C’è poi l’impegno contro il mieloma multiplo: in vent’anni abbiamo contribuito ad aumentare del 40% la sopravvivenza a cinque anni, portandola al 66%, e oggi stiamo lavorando sulle Car-T per offrire remissioni sempre più durature, anche nei casi refrattari.

La medicina dei prossimi anni sarà predittiva, preventiva, personalizzata e sempre di più digitale. E noi siamo pronti a guidare questa transizione: a livello globale nel 2024 abbiamo investito in R&D oltre 17 miliardi di dollari.

Siamo nell’era dell’AI: in che modo sta cambiando il lavoro delle aziende del pharma?

L’intelligenza artificiale sta rivoluzionando profondamente il settore e in Johnson & Johnson la stiamo già impiegando in diversi ambiti, dalla ricerca di nuove molecole alla produzione, dalla gestione della filiera fino alla personalizzazione delle cure.

L’AI è capace di analizzare una mole impressionante di dati, accelerando lo sviluppo di nuovi farmaci, migliorando l’accuratezza degli studi clinici e rendendo la supply chain ancora più resiliente. Ma consente anche di velocizzare l’identificazione dei target terapeutici e l’ottimizzazione delle molecole. Ciò significa ridurre i tempi di scoperta di un farmaco.

In oncologia, ad esempio, stiamo sviluppando test basati su AI che analizzano immagini di biopsie digitali, riconoscendo alterazioni come quelle del gene FGFR, così da rendere le terapie sempre più mirate e personalizzate. Questo livello di precisione e rapidità può fare la differenza nella vita dei pazienti.

In parallelo, l’AI sta rendendo più efficienti gli studi clinici. Ad ogni modo, siamo convinti che l’innovazione tecnologica debba andare di pari passo con l’innovazione etica. Per questo, abbiamo formalizzato i nostri impegni nella policy Doing the Right Thing: Artificial Intelligence and Ethics, che stabilisce linee guida chiare per sviluppare e adottare l’AI in modo responsabile, trasparente e incentrato sul bene dei pazienti.

Quali profili cercate in questo momento?

La medicina del futuro richiede nuove competenze e noi stiamo lavorando in parallelo su due fronti: da un lato, l’upskilling del nostro personale, dall’altro l’inserimento di nuovi professionisti in grado di supportare questa evoluzione. I profili più richiesti dal pharma in questa fase riguardano ambiti come la chimica, la biologia e l’ingegneria, con competenze tecniche ma anche trasversali, fondamentali per operare in un contesto altamente tecnologico e in costante trasformazione.

La selezione dei talenti è per noi una priorità strategica che parte dal dialogo con il mondo accademico: collaboriamo con numerose università italiane per offrire orientamento, formazione e incontri tra studenti e l’azienda.

Vorrei farle una domanda personale: quando era bambino, che lavoro sognava di fare da grande?

Sognavo di diventare un astronauta. L’idea di esplorare l’ignoto e fluttuare tra le stelle mi affascinava profondamente. Col tempo la mia traiettoria professionale mi ha portato a esplorare un altro tipo di universo: quello delle scienze della vita.

Oggi lavoro nel campo dei farmaci innovativi, dalle terapie geniche alle Car-T, che rappresentano nuove frontiere della medicina. Qualche anno fa ho fatto un test su leadership e attitudine all’innovazione, e con una certa ironia (ma anche coerenza) il risultato è stato ‘Pioniere’.

L’autore del test lo descriveva come la versione imprenditoriale dell’astronauta. Quindi, anche se non viaggio nello spazio, continuo a spingermi oltre i confini del possibile attraverso la scienza. In fondo, la missione è la stessa: contribuire a migliorare la vita delle persone, esplorando territori ancora inesplorati.

L’articolo originale è stato pubblicato sul numero di Fortune Italia del maggio 2025 (numero 4, anno 8)

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