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Screening: fa più paura del tumore? 50mila casi ‘sfuggiti’ in un anno

Adyen Articolo
Velasco25

Perchè gli italiani ignorano gli screening? La domanda sorge spontanea, a leggere gli ultimi dati del Report Gimbe. Perché gli inviti a fare prevenzione contro il tumore vengono ignorati, messi da parte o dimenticati.

Così nel 2023 oltre 50 mila tumori e lesioni pre-cancerose non sarebbero stati individuati proprio per la scarsa adesione dei cittadini.
 Mancate diagnosi che hanno un pesante impatto sulla salute (e sulle casse del Ssn). Come dimostra anche la notizia della diagnosi di tumore alla prostata con metastasi ossee per l’ex presidente Usa Joe Biden.

Joe Biden: il tumore alla prostata, la ‘livella’ e la diagnosi precoce

A puntare il dito sulle “diseguaglianze inaccettabili” e sul pesante ritardo su questo fronte soprattutto nelle Regioni del Sud è Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe.

“È evidente che sul fronte degli inviti molte Regioni, in particolare del Sud, devono migliorare le proprie capacità organizzative. Ma la principale criticità rimane la scarsa adesione agli screening: servono maggiori informazioni, strategie di comunicazione efficaci e coinvolgimento attivo dei cittadini. Perché aderire agli screening organizzati significa diagnosi precoce, trattamento tempestivo delle lesioni pre-cancerose, un numero maggiore di guarigioni definitive, meno sofferenze per i pazienti, costi minori per il Ssn e, soprattutto, meno decessi per tumore”. Ma vediamo meglio i dati del Report 2023 dell’Osservatorio Nazionale Screening analizzati da Gimbe.

l’Italia ha un ‘problema di screening’

Gli screening oncologici inclusi nei Livelli essenziali di assistenza (Lea), che tutte le Regioni sono tenute a offrire gratuitamente, prevedono: la mammografia per le donne tra i 50 ed i 69 anni, lo screening del tumore della cervice uterina per le donne tra i 25 ed i 64 anni e quello colon-rettale per donne e uomini tra i 50 ed i 69 anni.

In alcune Regioni non sottoposte a Piano di rientro, grazie a fondi extra-Lea le fasce di età sono state ampliate: lo screening mammografico viene esteso anche alle donne tra i 45 e i 49 anni e tra i 70 e i 74 anni e quello colon-rettale alla fascia di età 70-74 anni.

Ebbene “nel 2023 quasi 16 milioni di persone (15.946.091) sono state invitate ad eseguire un test di screening, ma solo 6,9 milioni (6.915.968) hanno aderito, con marcate differenze di adesione sia fra i tre programmi sia, soprattutto, tra Regioni e macro-aree del Paese”.

La mappa per il tumore al seno

Lo screening mammografico viene offerto a tutte le donne tra i 50 e i 69 anni. In caso di esito positivo, viene avviato un percorso di approfondimento diagnostico con altri test di imaging (ecografia, Tac, risonanza magnetica), esame citologico o biopsia.

Nel 2023 in Italia è stato invitato il 93,6% (4.017.757) della popolazione target, con marcate differenze regionali: si va dal 119,5% del Molise al 49,4% della Calabria

“Tutte le Regioni del Mezzogiorno ad eccezione del Molise – commenta Cartabellotta – si collocano sotto la soglia del 100%, a dimostrazione che in queste Regioni la bassa adesione agli screening è spesso legata a carenze organizzative nella gestione degli inviti”.


La media nazionale di adesione allo screening mammografico è del 49,3%, ma anche in questo caso le differenze tra Regioni sono marcate: si passa dall’82,5% della Provincia autonoma di Trento all’8,1% della Calabria. Tutte le Regioni del Sud hanno livelli di adesione inferiori alla media nazionale.

Il tumore del collo dell’utero

In questo caso lo screening è offerto a tutte le donne tra i 25 ed i 64 anni: in particolare, tra i 25-30/35 anni viene offerto il Pap-test ogni 3 anni, mentre per le età successive il test per il virus del papilloma umano (HPV test) ogni 5 anni. Alcune Regioni hanno adottato protocolli personalizzati sulla base dello status vaccinale per l’HPV. In caso di esito positivo, viene proposta come test di secondo livello la colposcopia, eseguita nel 2023 dal 90% delle donne risultate positive allo screening.

Nel 2023 sono state invitate 3.982.378 donne. Complessivamente, è stato invitato il 111% della popolazione target, con forti differenze tra Regioni: dal 162,9% della Puglia al 61,5% della Calabria. “Le percentuali superiori al 100% – spiega Cartabellotta – registrate in ben 12 Regioni, lasciano presumere un numero molto elevato di recuperi degli inviti non effettuati negli anni segnati dalla pandemia”. Ebbene, la media nazionale di adesione allo screening cervicale è del 46,9%, con forti disparità tra le Regioni: dal 78% della Provincia autonoma di Trento al 17% della Calabria.

Colon-retto

Questo screening viene offerto a tutte le persone tra i 50 ed i 69 anni e consiste nella ricerca del sangue occulto nelle feci. In caso di esito positivo, come test di secondo livello viene proposta la colonscopia, eseguita nel 2023 da quasi l’83% delle persone positive allo screening. Nel 2023 è stato invitato il 94,3% (7.945.956) della popolazione target, con marcate differenze regionali: dal 118,6% dell’Emilia-Romagna al 55,9% della Sardegna.

La media nazionale è del 32,5%, con un’adesione che varia sensibilmente tra le Regioni: dal 62% del Veneto al 4,4% della Calabria. Tutte le Regioni del Mezzogiorno, a eccezione della Basilicata, si collocano al di sotto della media nazionale.

L’impatto della mancata adesioni agli screening

Siamo ancora molto lontani dall’obiettivo fissato nel 2022 dal Consiglio Europeo: garantire entro il 2025 una copertura degli screening oncologici ad almeno il 90% della popolazione target”. Ma come tradurre i dati italiani in mancate diagnosi?

Tenendo conto della popolazione target non invitata o che non aderisce agli screening e del tasso di identificazione dei tumori (detection rate), è possibile stimare il numero di tumori e lesioni pre-cancerose potenzialmente identificabili dagli screening oncologici organizzati, fissando il target di copertura al 90%.

Così solo nel 2023 la mancata adesione ai programmi di screening “non avrebbe consentito di identificare circa 10.900 carcinomi della mammella, di cui quasi 2.400 invasivi di piccole dimensioni; di quasi 10.300 lesioni pre-cancerose del collo dell’utero; e per il colon-retto di oltre 5.200 tumori e quasi 24.700 adenomi avanzati. Complessivamente si tratta di oltre 50 mila lesioni la cui identificazione avrebbe consentito di avviare il percorso per una diagnosi precoce e, ove necessario, per una terapia efficace”, conclude Nino Cartabellotta.

Numeri che, anche escludendo la ‘fetta’ di quanti hanno fatto ricorso privatamente a questi esami, danno da pensare. Perché gli italiani hanno paura degli screening? E, soprattutto, come vincere questa ritrosia?

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