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Palomba (Cencora Pharmalex): “L’evoluzione del Public affairs manager”

Domenico Palomba Cencora Pharmalex Public Affairs
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Il ruolo del Public Affairs manager è mutato in particolare nella farmaceutica e nei dispositivi medici. L’analisi di Domenico Palomba (Cencora Pharmalex).

Il settore delle scienze della vita è “in rapida evoluzione. Anche per questo motivo ritengo che quella del moderno Public affairs manager sia una professione affascinante, che richiede nuove competenze trasversali”. Parola di Domenico Palomba, Managing Director Public Affairs, Communication & Patient Advocacy di Cencora Pharmalex.

Con oltre 30 anni di attività manageriale nel comparto pharma e medical device, Palomba è specializzato in Corporate communication, Public affairs e market access. Partecipa a progetti internazionali ed è membro di commissioni specifiche in Farmindustria e Assobiotec.

Da attento osservatore, segnala l’evoluzione di una professione che negli anni si è sviluppata ben oltre le comunicazioni esterne. “Sarebbe importante avere una nuova base di giovani con vari tipi di background, che vogliano intraprendere con entusiasmo questa che è una vera e propria mission”, auspica.

In che modo è cambiata negli ultimi anni l’attività di Public affairs nel pharma?

È cambiata molto, perché ad essere mutato è lo scenario di riferimento. Il ruolo del Public affairs manager si è evoluto in tutti i settori, ma in particolare nella farmaceutica e nei dispositivi medici: oggi è molto più integrato nella struttura di appartenenza, interagisce con altre funzioni aziendali come il marketing o le business unit, e lo fa in maniera costante. In passato questo accadeva solo ‘one shot’, quando subentrava un problema.

Agli albori della mia attività, il responsabile delle comunicazioni esterne (come si chiamava allora) era quasi un oggetto oscuro per la struttura, perché interagiva solo con i ruoli apicali dell’azienda, prima di tutto il general manager. E lo faceva in caso di crisi o di opportunità particolari. Oggi ci possiamo considerare manager con competenze globali che supportano le diverse funzioni, anche partecipando alla messa a terra di nuove strategie.

Tutto ciò ha portato al cambiamento dell’arena del Public affairs manager, che oggi si confronta con un panel di stakeholder articolato, non più solo di tipo istituzionale ma, ad esempio, composto da associazioni dei pazienti, esponenti delle società scientifiche. Inoltre a livello istituzionale non ci sono più solo le Commissioni Sanità di Camera e Senato e il ministero della Salute, ma anche il Mef e il ministero delle Imprese e del Made in Italy, oltre agli assessorati regionali.

Qual è stato l’impatto delle nuove politiche commerciali di Donald Trump?

Si tratta di un tema molto caldo per noi, che sempre di più veniamo coinvolti su questo che definirei un ‘mega quesito’. Rimanderei valutazioni nel merito, in attesa di conoscere quali misure verranno prese in termini di dazi sul pharma.

Basandomi su quello che abbiamo visto finora e sulle mosse dell’amministrazione americana, posso prevedere che ci sarà uno switch delle multinazionali su alcune aree terapeutiche rispetto ad altre (alcune aziende importanti hanno già avviato questo cambiamento di rotta). È possibile inoltre che alcune misure già varate impatteranno su scelte logistiche produttive, in modo particolare per le aziende a capitale americano. Ma tutto lo scenario è in evoluzione.

Che tipo di formazione e competenze servono per lavorare nel settore?

Una base umanistica potrebbe essere funzionale, ma le nuove generazioni di manager del Public affairs vedono grandi protagonisti con un background scientifico. Non sono scandalizzato, ma anzi a favore: credo che un professionista moderno debba essere più strutturato.

Basandomi sulla mia esperienza e sulle osservazioni delle dinamiche del settore, direi che a fare la differenza è la formazione nel merito da parte dell’azienda e l’affiancamento da parte del senior management per trasmettere valori, approccio e aspetti procedurali. Il settore delle scienze della vita e della farmaceutica è stimolante e ritengo quello del Public Affair manager un lavoro affascinante, che oggi faccio con ancor più entusiasmo di prima. Lo consiglierei senza dubbio a un giovane che ha voglia di mettersi alla prova.

Quali sono le maggiori sfide per le imprese del pharma che operano in Italia?

Parliamo di sfide stimolanti ma, mai come in questo momento, davvero numerose. Se si guarda all’arena italiana, emerge chiaramente la necessità di uno scenario più favorevole all’impresa.

Se dovessi fare un ranking, al primo posto metterei un ambiente normativo meno penalizzante, con la certezza di regole costanti nel tempo per attrarre nuovi investimenti, in particolare nel caso delle aziende a capitale estero (che sono molto spaventate dal fatto di non avere certezze sul medio periodo). Ma le imprese hanno anche bisogno della rimodulazione di misure varate in passato, come il payback.

A livello regolatorio servirebbe uno snellimento dell’iter registrativo, per assicurare un più tempestivo accesso dei pazienti all’innovazione. Personalmente, da addetto ai lavori, ritengo che su questi ultimi due punti il Governo attuale e Aifa stiano facendo dei passi avanti. Infine sono convinto che sia importante garantire dialogo e confronto costanti con i rappresentanti industriali.

Una battuta: se la definiscono lobbista, come reagisce?

Non reagisco: non è un termine che rispecchia la mia attività, almeno nell’accezione italiana. Probabilmente in quella anglosassone sì.

Mi ritengo un uomo d’azienda che, in passato, ha avuto la grande opportunità di rappresentare le posizioni aziendali nelle sedi istituzionali. Adesso, con il mio team, il mio ruolo è quello di advisor, per affiancare le aziende clienti nell’elaborazione di strategie efficaci, in maniera etica, a fronte di un approccio moderno e rivolto a diversi stakeholder.

L’articolo originale è stato pubblicato sul numero di Fortune Italia del maggio 2025 (numero 4, anno 8)

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