Vaccini, terza dose dopo 5 o 6 mesi? L’analisi

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Mentre la quarta ondata di Covid-19 va avanti in Italia, l’approccio inglese che anticipa la terza dose accende il dibattito sui vaccini. “Registriamo troppi casi di infezione tra chi è stato vaccinato da più di sei mesi e, tra di loro, ci sono situazioni molto gravi. Non va bene. Bisogna cambiare strategia, imitare il Regno Unito e offrire la terza dose prima, a cinque mesi dalla seconda” ha dichiarato in un’intervista al Messaggero l’assessore alla Sanità della Regione Lazio Alessio D’Amato. Ma cosa ci dice la ricerca? L’abbiamo chiesto a Roberto Cauda, direttore dell’Unità operativa di Malattie infettive del Policlinico Gemelli di Roma.

“La questione del richiamo dopo 6 mesi deriva da una serie di articoli scientifici nei quali si è vista una diminuzione della protezione, soprattutto nei confronti dell’infezione, e in maniera molto molto minore rispetto alle forme gravi, dopo questo lasso di tempo. E ce lo dicono anche i numeri della pandemia. Nel mese di ottobre – dice Cauda – si è visto che il numero dei ricoverati per milione di persone è molto più alto nei soggetti non vaccinati rispetto ai vaccinati, e anche a quelli vaccinati da meno di sei mesi. E’ chiaro che nei vaccinati da oltre sei mesi ci sia un numero lievemente superiore rispetto a quanti si sono immunizzati da maggior tempo”.

Sars-Cov-2 è un virus nuovo, e la medicina sotto diversi aspetto non ha ancora certezze. In pratica, quello che ci dice l’osservazione è che “la vaccinazione è molto efficace per quanto attiene la prevenzione delle forme gravi. Ma il trend è quello di una progressiva diminuzione dell’immunità – precisa Cauda -perché questo tipo di vaccini non è così immunogeno nei confronti della stimolazione del sistema immunitario. Ecco perché è necessario eseguire un’ulteriore vaccinazione. Del resto, se noi guardiamo le schedule vaccinali di molte patologie dell’infanzia si vede che in molti casi il richiamo si ripete a distanza di 6 mesi, o di un anno. Il sistema immunitario deve essere stimolato più volte per raggiungere un’immunità che, auspicabilmente, dopo la terza dose potrebbe essere lunga o addirittura definitiva”.

Insomma, la verità è che non sappiamo ancora se potrebbe essere necessario un ulteriore richiamo dopo la terza dose. “L’osservazione di Israele, dove la popolazione ha già completato la terza dose, ci dirà se bisognerà pensare a nuovi vaccini. Pur sapendo che ce ne sono molti in arrivo. Se ne parla poco, ma ci sono vaccini orali e vaccini inalatori in fase avanzata di sperimentazione, che potrebbero stimolare quella risposta immunitaria a livello locale che favorisce una maggior protezione dall’infezione. Ma i vaccini attuali – assicura l’esperto – sono sicuri ed efficaci”.

“Io – ci racconta Cauda – ho fatto la terza dose e la consiglio a tutte le persone che sono eligibili, perché potrebbe essere risolutiva per uscire da questa crisi”.

Ma allora come mai a Londra si anticipa? “Probabilmente sotto l’onda delle migliaia di casi di infezione verificatisi, anche se l’impatto sulle strutture ospedaliere non è stato pesante, si è scelto di anticipare di un mese proprio in un’ottica organizzativa. Per accelerare i tempi” e potenziare le difese immunitarie della popolazione, conclude Cauda.

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