Sanità, se gli italiani bocciano la medicina territoriale

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La medicina territoriale è un approccio alla cura della salute che mira a fornire assistenza sanitaria il più possibile vicino a dove vivono le persone. Spesso si basa su una rete di servizi di assistenza primaria, come medici di famiglia e infermieri, che lavorano in collaborazione con altri professionisti della salute per fornire ai pazienti cure complete e coordinate. La medicina territoriale può includere la prevenzione delle malattie, il trattamento dei disturbi minori, il supporto alle persone con malattie croniche e l’assistenza agli anziani. L’obiettivo è quello di offrire una cura efficace ai pazienti nel loro ambiente di vita quotidiano, il che può aiutare a prevenire il ricorso a cure ospedaliere costose e a migliorare la qualità della vita dei pazienti. In molti paesi, la medicina territoriale è una parte importante del sistema sanitario e svolge un ruolo chiave nella gestione della salute della popolazione. E in Italia?

Come in molti altri ambiti, anche per quanto riguarda la medicina territoriale, l’Italia viaggia a più velocità. Se alcuni cittadini, residenti in alcune Regioni d’Italia, riescono ad avere accesso a cure e servizi d’eccellenza, per altri tutto questo è ancora un miraggio. I due anni di pandemia hanno messo in evidenza le lacune e le disuguaglianze territoriali, ancora troppo presenti nel nostro sistema sanitario nazionale. E’ giunto il momento di investire, per riorganizzare l’assistenza sanitaria e sociosanitaria, a partire da alcuni elementi chiave, evidenziati al 6° Congresso Nazionale di Fondazione Onda. 

La medicina territoriale e gli italiani

Secondo l’indagine “Esperienza e percezione degli italiani sulla medicina territoriale”, realizzata da Fondazione Onda in collaborazione con Elma Research, 9 italiani su 10 si sono rivolti a medico di medicina generale, pediatra di libera scelta, guardia medica o consultorio negli ultimi 6 mesi, soprattutto per la prescrizione di farmaci (79 per cento), visite specialistiche o esami (67 per cento). Eppure, solo un quarto di loro è soddisfatto.

Difficoltà di prenotazione (58 per cento), lunghi tempi di attesa (53 per cento) e disponibilità oraria molto limitata (43 per cento) sono chiamati in causa dai cittadini.

Ma quali sono i servizi più gettonati? Quasi la totalità degli utenti (88 per cento) ha contattato il medico di medicina generale per sé o per familiari negli ultimi sei mesi, mentre solo il 16 per cento ha contattato servizi di continuità assistenziale (es. guardia medica) e il 15 per cento un consultorio.

Il 96 per cento della popolazione utilizza una forma di comunicazione digitale come e-mail (70 per cento) e telefonate (68 per cento) per interagire con i servizi offerti dalla medicina del territorio e circa la metà vorrebbe mantenere il più possibile questo tipo di approccio.

“Il 6° Congresso nazionale Onda farà il punto sull’assistenza di prossimità in ottica di genere, affrontando alcuni ambiti specialistici della cronicità e il tema della prevenzione con particolare riferimento alla salute sessuale riproduttiva. I dati dell’indagine svolta non sono confortanti, pur essendo stati questi servizi utilizzati dal 90 per cento degli intervistati, solo il 26% si dichiara soddisfatto”, afferma Francesca Merzagora, presidente di Fondazione Onda.

“Dalla scrittura del Pnrr a oggi è subentrata una grave crisi energetica e in Italia si è appena votato: l’auspicio è che per il prossimo Governo la Sanità territoriale e ospedaliera restino una priorità con fondi dedicati anche all’assunzione e formazione di personale indispensabile per garantire il funzionamento e la sostenibilità del nostro sistema sanitario nazionale”.

I finanziamenti

Attraverso la Missione 6 sono stati stanziati 15,63 miliardi di euro per formare un nuovo assetto istituzionale che favorisca la continuità delle cure per i pazienti, rafforzi la rete territoriale di assistenza primaria e uniformi gli standard strutturali, tecnologici e organizzativi così da favorire il rapporto tra i medici e l’assistito e risponda alle mutevoli esigenze.

Nonostante ciò, la popolazione ritiene che la medicina territoriale sia estremamente peggiorata (41 per cento) e ha scarse aspettative per il futuro: il 90 per cento degli intervistati non crede che ci saranno dei miglioramenti efficaci o che si stia facendo qualcosa. Inoltre, 2 persone su 5 non sono a conoscenza di progetti per il risanamento della medicina territoriale.

“Guardando i dati del questionario le cose che stupiscono sono due: la prima che, nonostante buona parte degli intervistati sia affetto da patologie croniche, sembrano non presi in carico con appuntamenti prefissati ed un case manager dedicato, la seconda la scarsa fiducia nel futuro della sanità. Il Pnrr nella missione 5 e 6 e con il DM 77/2022 se realizzato correttamente dovrebbe essere la risposta ai problemi messi in evidenza dal questionario”, commenta Flori Degrassi, coordinatrice Antenne regionali Fondazione Onda, rappresentante Regione Lazio Osservatorio Medicina di genere, Istituto Superiore di Sanità.

La salute mentale

“A fronte di un aumento stimato del 28 per cento di diagnosi tra depressione e altre patologie psichiche causato da oltre due anni di pandemia soprattutto tra giovani e giovani adulti, si sta andando verso una impossibilità di garantire, in alcune aree, servizi minimi in un settore da tempo in difficoltà”, aggiunge Claudio Mencacci, presidente Comitato scientifico Fondazione Onda e Società Italiana di Neuro Psico Farmacologia.

“È noto che già prima della pandemia da Covid-19 i Dipartimenti di Salute Mentale erano in grado di rispondere correttamente a poco più del 55% del fabbisogno assistenziale e che la dotazione di personale dei servizi di salute mentale sia del 15% (-4600) inferiore rispetto ad uno standard fissato oltre 20 anni fa in un’epoca con bisogni di salute ben diversi rispetto a quelli odierni. Pressante la necessità di una svolta nella gestione dei servizi pubblici in questo ambito territoriale. La politica sanitaria – continua Mencacci – non trova risposte e stanziamenti di fondi all’interno dei decreti ministeriali riferiti al Pnrr. La richiesta è che i fondi da investire in salute mentale debbano invece crescere fino al 5% del Fondo Sanitario nazionale ora fermo al 2.75% enormemente lontani dall’obiettivo del 10% indicato in sede comunitaria per i Paesi ad alto reddito”.

Le differenze regionali

Il momento è cruciale, ma è importante tenere conto dei ‘punti deboli’ evidenziati dalla pandemia. “La riorganizzazione dell’assistenza territoriale prevista dal Pnrr e programmata dal Dm 77/2022 costituisce una straordinaria opportunità per migliorare la qualità delle cure primarie. Tuttavia, tale riforma si innesta in un sistema che presenta numerose criticità organizzative ed enormi differenze regionali, di cui è indispensabile tener conto per mettere in atto le adeguate contromisure”, conclude Nino Cartabellotta, presidente Fondazione Gimbe.

Il Pnrr rappresenta una buona opportunità di investimento per migliorare, ma l’occasione va saputa cogliere.

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