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Medicina interna: italiani longevi ma pazienti difficili

medicina interna
Adyen Articolo
Velasco25

Sono fra i più longevi al mondo, ma sono diventati anche più difficili da curare. Parliamo degli italiani: stando all’Istat la speranza di vita alla nascita è di 83,1 anni nel 2023, sei mesi più del 2022. Un dato che per gli uomini è di 81,1 anni (+6 mesi sul 2022) mentre tra le donne di 85,2 anni (+5 mesi). Ma attenzione, quella degli italiani non è una longevità sana: anche grazie agli sviluppi della medicina sono sempre di più i pazienti che sopravvivono a un tumore, a un evento cardiovascolare, o che presentano diverse malattie croniche. “Insomma, abbiamo a che fare con pazienti difficili da trattare”, sottolinea Giorgio Sesti, presidente della Società italiana di medicina interna (Simi), in vista del 125esimo Congresso nazionale che si apre oggi a Rimini.

Pensiamo anche solo alle possibili interazioni fra i (tanti) farmaci che fanno parte della routine quotidiana di molti pazienti. In Italia si stima che il 75% degli over 60 assuma 5 o più farmaci ogni  giorno. Risultato? Il lavoro degli internisti si complica. “Come ricorda anche il logo della nostra società scientifica, ‘In uno omnia’, l’internista – ricorda Sesti – racchiude in un solo medico tutte le specialità”.

Tanto che “ogni volta che viene immesso sul mercato un nuovo farmaco per il trattamento di polipatologie, oltre agli specialisti di settore, l’Agenzia italiana del farmaco Aifa chiede sempre il parere dell’internista: specialista delle polipatologie e della complessità“. Ma, ahimè, fino a quando?

La crisi della professione

Tra fuga dei medici, pensionati che non vengono sostituiti, condizioni di lavoro sempre meno attraenti per i giovani, escalation di violenza, “se va avanti così, non ci saranno più specialisti per coprire l’assistenza nei reparti di Medicina interna e in pronto soccorso. E sarà una catastrofe, perché i reparti di Medicina interna e di Chirurgia generale sono la colonna portante anche degli ospedali più piccoli”, prevedono dalla Simi.

Lo testimoniano le tante borse di specializzazione che non vengono assegnate in seguito al concorso annuale. “I giovani medici sono meno attratti dalla sanità pubblica”, rileva il vice presidente della Simi, Gerardo Mancuso. “Lo dimostrano due dati su tutti: la riduzione del numero di specializzandi in Medicina interna (quest’anno è stato coperto solo il 79% dei posti di specializzazione) e in Chirurgia generale (assegnato solo il 51% dei posti). Queste due specialità, molto ambite e ritenute prestigiose in passato, oggi risultano sempre meno attrattive per i giovani. Ma andando avanti così, nel prossimo futuro non saremo più in grado di gestire gli ospedali dedicati a queste attività”.

Lavorare in ospedale in Italia “oggi significa una vita di grandi sacrifici, per uno stipendio che è inferiore fino al 40-50% rispetto ad altri Paesi europei, come la Francia. Ma differenze importanti si riscontrano anche tra il Nord e il Sud d’Italia: chi lavora in un ospedale del Nord-Est guadagna molto di più che in quelli del Sud, e questo genera una migrazione di personale medico e infermieristico che va ad impoverire sempre più” il Meridione, conclude Mancuso.

Un problema per gli specialisti, ma anche per i pazienti (sempre più complessi da trattare). Oltretutto la medicina interna potrebbe davvero fare la differenza, come spiega Nicola Montano, presidente eletto della Simi in una recente pubblicazione sull’European Journal of Internal Medicine. E questo proprio grazie alla visione ‘olistica’ della persona, considerata nella sua interezza e non come una somma di malattie.

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