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Adriana Bonifacino e l’oncologia sempre “dalla parte dei pazienti”

Adyen Articolo
Velasco25

L’esperta di oncologia che ha fatto la differenza, “sempre dalla parte delle pazienti”. Ai ragazzi dice: “Trovate buoni compagni di viaggio”. 

Senologa, oncologa, autrice di numerose pubblicazioni e volto noto della tv, Adriana Bonifacino è un medico “sempre dalla parte delle pazienti”. Nel 2008 ha fondato ‘IncontraDonna’ – oggi Fondazione dedicata alla salute femminile – per promuovere la cultura della prevenzione del tumore del seno e realizzare progetti di supporto per le donne e per tutti i pazienti oncologici. Fra le iniziative più celebri c’è ‘Frecciarosa’, che per tutto il mese di ottobre porta a bordo dei treni delle Ferrovie dello Stato la prevenzione del tumore al seno. Delle sue pazienti, ci dice, ricorda ancora le storie e i nomi. Dopo una prestigiosa carriera tra Policlinico Umberto I e Sant’Andrea, oggi è responsabile della Senologia Clinica e Diagnostica dell’IDI Irccs di Roma. “Prima che senologa mi sento un medico, e – dice – oggi la medicina mi dà ragione: il paziente va curato non a pezzi, ma nella sua interezza”.

 

Professoressa, al Congresso europeo di oncologia sono stati diffusi dati allarmanti sull’aumento delle diagnosi di tumore nelle giovani donne. E i casi di Bianca Balti e Kate Middleton hanno suscitato scalpore: cosa sta succedendo?È bene chiarirlo: anche le giovani donne si ammalano di tumore. Anzi, vediamo tantissime diagnosi ritardate in giovani che, quando arrivano nei centri di senologia, hanno forme avanzate. C’è uno stigma sulle giovani: talvolta arrivano con noduli che non vengono indagati per anni. Ecco, è il momento di fare chiarezza, senza impaurire la popolazione.

Qual è, allora, il messaggio corretto?
Quello al seno è diventato il primo tumore che colpisce la donna dai 35 anni in poi. Ma non bisogna aver paura, neanche di controllarci. Conoscere il proprio seno vuol dire segnalare per tempo al medico una secrezione, un nodulo, un’anomalia del capezzolo. E ancora: teniamo conto di familiarità, alimentazione, fumo e stili di vita. Abbiamo le prove che la dieta è un potente strumento di prevenzione, insieme all’attività fisica. Nel caso del tumore del seno, poi, è importante che il girovita non aumenti troppo. Insomma, a ogni età ci sono abitudini che ormai sappiamo essere protettive. Infine aderiamo agli screening: il ministero della Salute finanzia la mammografia per il tumore al seno dai 50 ai 69 anni, anche se alcune regioni più sensibili hanno allargato alla fascia 45-74 anni. Sono opportunità preziose, da non perdere.

In caso di sospetti a chi rivolgersi?
Non tutti i posti sono uguali, e poi c’è il problema delle liste d’attesa. Il Centro di senologia è dedicato a donne che hanno quanto meno un problema da dover approfondire. L’idea che io ebbi al Sant’Andrea nel 2003 fu di offrire una
struttura diversa, dove le donne con una preoccupazione avessero una risposta. Un servizio apripista: ormai è chiaro che occorre uno sportello riservato a donne di ogni età, anche giovanissime, che offra personale qualificato per chiarire eventuali sospetti relativi alla salute del seno.

Come è cambiata negli anni la lotta ai tumori?
Ho iniziato nel 1979: nei primi 20 anni non ho visto grandissimi cambiamenti, mentre ora stiamo assistendo a una vera rivoluzione nelle terapie. Che però non ha la stessa velocità in campo diagnostico. Quanto a big data e intelligenza artificiale, si stanno indagando le potenzialità dell’AI nello screening mammografico: normalmente ci sono due operatori che leggono la mammografia. In futuro, quando i medici saranno sempre meno, il secondo operatore potrebbe essere sostituito dall’AI. Ci credo molto, ma ancora non ci sono dati. Quanto all’innovazione farmacologica, è importante che Aifa recepisca in tempi più brevi le decisioni di Ema, per dare un più rapido accesso alle terapie innovative, che iniziano a fare la differenza.

Facciamo un passo indietro: quando era bambina cosa avrebbe voluto fare da grande?
Non certo il medico (sorride, ndr). Potrei dire che sono diventata medico per caso, condividendo questo percorso con una compagna di classe, diventata senologa anche lei. Avevo fatto il Conservatorio e la mia idea era quella di continuare con la musica, ma mio padre, dopo il diploma a Santa Cecilia, mi ha detto: “Ricorda che in un’orchestra c’è un solo pianoforte e 100 violini”. Messaggio ricevuto: avevo in mente L’Orientale a Napoli, ma quell’anno ci fu il colera, così alla Sapienza ho scelto Medicina insieme alla mia compagna. Ci siamo specializzate in Chirurgia e devo dire che ho fatto incontri importanti, tra cui quello con il professor Gianfranco Fegiz, che ci ha letteralmente insegnato come fare il medico. Un altro incontro prezioso è stato con la psiconcologa Anna Costantini, che formava i medici con giochi di ruolo, facendoci interpretare i nostri pazienti per comprendere meglio le loro emozioni e le loro paure. Spesso ho interpretato una mia paziente, Rita, una ragazza di 35 anni per la quale non sono riuscita a fare quello che avrei voluto.

Se dovesse fare un bilancio della sua carriera?
Sono soddisfatta, anche della Fondazione e del rapporto con le persone, forse è meno buono quello con i miei colleghi (sorride ancora, ndr). Ma io sono stata sempre dalla parte del paziente, anche nelle perizie medico legali. E questo nonostante la violenza verbale e fisica che ogni giorno ci colpisce come medici.

Quanto è difficile per una donna arrivare a posizioni di vertice nella sanità italiana?
Nei miei primi 22 anni in Clinica chirurgica alla Sapienza eravamo appena quattro donne chirurgo. Pensi che da professori, che pure mi stimavano, sono stata chiamata signorina tutta la vita. Oggi è giusto che le donne non accettino più nessun tipo di sopraffazione, e anzi denuncino ogni episodio. E spero davvero che per le donne fare carriera sia diventato più facile.

Che messaggio darebbe a un giovane che pensa di diventare medico?
Non fate come me: servono fin dall’inizio grande passione e forte motivazione. Per molti aspetti i tempi oggi sono più difficili rispetto a quando ho iniziato io. Chissà dove saremo fra dieci anni. Il mio consiglio è quello di credere in se stessi, trovando anche buoni compagni di viaggio: la squadra è importante. Vedo molta confusione, dunque suggerisco anche di trovare un coach, un docente illuminato che sappia orientare. Ma, soprattutto, mi piacerebbe che questi giovani talenti della medicina restassero nella regione in cui sono nati e si sono formati.

Quanto a me, vorrei veder crescere le persone che mi lavorano accanto, sul lato medico e nell’associazione. E sono pronta anche a farmi da parte: penso che, se a un certo punto non ti metti da parte, gli altri non riescono a crescere davvero.

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