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Farmaceutica: la sfida per l’Europa, tornare ad essere competitiva

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Adyen Articolo
Velasco25

La farmaceutica italiana dei record sta vivendo un momento cruciale. Sfide “sociali, tecnologiche, ma anche ambientali, che stanno minacciando l’equilibrio geopolitico mondiale, la stabilità e il progresso della società. Se a questo si aggiungono problemi legati alla protezione dei brevetti, alla proprietà intellettuale e alla crescente domanda di innovazione, il quadro non può che farsi complicato. Ma la riposta deve arrivare dall’Unione europea”. Parola di Nicoletta Luppi, una donna della farmaceutica che ha le idee chiare: presidente e amministratrice delegata di MSD Italia, all’evento MPW dedicato alle sfide del pharma spiega perché questo è un momento decisivo per il Vecchio Continente.

Dai dazi internazionali, alle tensioni geopolitiche, passando per la ‘rivoluzione tecnologica’, il pharma tricolore – che vanta un export da 54 miliardi di euro – deve rispondere alla crescente domanda di accessibilità, coniugando innovazione e contenimento dei costi e garantendo al contempo soluzioni terapeutiche tempestive e sempre più efficaci per i pazienti. “Ebbene, in uno scenario simile la tutela della salute deve essere una priorità anche a livello europeo” per Luppi, che cita i numeri del Rapporto Draghi.

L’Europa del pharma deve tornare a essere competitiva

“La farmaceutica oggi supporta 2,3 milioni di posti di lavoro in Europa. Il settore  investe 47 miliardi di euro in ricerca e sviluppo, contribuendo più di qualsiasi altro al bilancio commerciale annuale dell’Europa: parliamo di più di 170 miliardi di euro. Tuttavia, negli ultimi 25 anni” il Vecchio Continente “ha perso il 25% degli investimenti in ricerca e sviluppo a favore di altre aree”, dice Luppi. “Oggi più che mai è fondamentale colmare il divario di competitività, riconoscendo in primis la proprietà intellettuale come fondamento a sostegno dell’innovazione, premiandola con condizioni di mercato adeguate e inserendo un pacchetto che semplifichi la regolamentazione del settore”.

Se il clima fra le due sponde dell’Atlantico non è dei migliori, occorre “semplificare i processi e incentivare la cooperazione. Vediamo un’ulteriore opportunità per l’Europa e per gli Stati Uniti attraverso un accordo di settore che rafforzi la cooperazione”, rinforzando “i diritti di proprietà intellettuale a livello globale, per assicurare che i trasferimenti tecnologici siano volontari e basati su accordi di reciprocità, nonché allineati con le regole attuali del WTO, che non prevede dazi per l’industria farmaceutica”, puntualizza Luppi, la cui azienda conta in Europa oltre venti siti di produzione.

“Un terzo dei nostri dipendenti globali è in Europa. Parlo circa di 20.000 persone, ma anche di quasi 23.000 pazienti arruolati negli studi clinici in corso. Il mantenimento di simili risultati sarà possibile solo grazie a un ambiente che deve continuare a essere innovativo e a incoraggiare gli investimenti, oltre che l’accesso a farmaci e vaccini innovativi”, scandisce la numero uno di MSD Italia.

L’impatto dei dazi sulla farmaceutica

Se consideriamo che l’export italiano verso gli Stati Uniti “vale 10 miliardi e i dazi potrebbero essere del 25%, è facile desumere un impatto importante delle nuove tariffe, di circa 2 miliardi e mezzo”, calcola Massimo Scaccabarozzi, direttore del Think Thank On Radar Fondazione Internazionale Menarini.

“Ovviamente salirebbero i costi dei farmaci e, dal momento che una moltitudine di medicinali ha prezzi ormai risicati, con margini molto bassi, ciò rischia di impattare in molti modi sul settore. Dietro queste politiche penso ci possa essere un obiettivo di rilocalizzazione negli Stati Uniti di produzioni che oggi non ci sono, un progetto di reshoring. Abbiamo visto che alcune aziende hanno già annunciato l’apertura di stabilimenti negli Usa; se questo comporterà la chiusura di siti europei, noi ne pagheremo le conseguenze in termini economici, di occupazione e di sviluppo, ma anche di autonomia produttiva e salute – dice Scaccabarozzi – in Italia e in Europa”.

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Le preoccupazioni dei pazienti

Le ombre sul futuro della farmaceutica non possono non preoccupare i pazienti. “È un settore eccellente per l’Europa e per l’Italia. L’auspicio è che non subentrino  problemi per quanto riguarda l’accesso all’innovazione”, evidenzia Elisabetta Iannelli, Segretario Generale Favo (Federazione associazioni di volontariato in oncologia), che ammette: “C’è un pochino di preoccupazione per i rischi a cui potremmo andare incontro in questa guerra dei dazi globale. L’investimento delle aziende in termini di ricerca e sperimentazione di nuovi farmaci è per noi di fondamentale importanza, perché significa avere nuovi strumenti per combattere le patologie, pensiamo solo ai tumori e alle malattie rare”.

L’auspicio di Iannelli, in caso di criticità legate ai dazi, “sarebbe quello di riuscire a reinvestire in sviluppo e ricerca in ambito nazionale ed europeo per continuare ad assicurare ai pazienti l’accesso alle nuove molecole”.

I timori delle farmacie

La “rilocalizzazione degli impianti industriali negli Stati Uniti andrebbe ad acuire un problema: quello delle carenze dei farmaci. A preoccuparci di più non sono tanto i prodotti innovativi o quelli di ‘nicchia’ come i farmaci orfani per le malattie rare, quanto i medicinali utilizzati per le malattie croniche come il diabete e l’ipertensione”, rileva Clara Mottinelli, Tesoriere di Federfarma nazionale. Che sottolinea in parallelo l’evoluzione delle farmacie italiane verso presidi di salute in grado – grazie alle nuove tecnologie – di avvicinare cure e prevenzione ai cittadini.

L’ondata di innovazione

Nel frattempo “il futuro è già qui: abbiamo moltissime terapie avanzate che di fatto sono una realtà, basate su cellule o frammenti di queste cellule, che possono essere somministrate per correggere delle alterazioni genetiche. La direzione – sottolinea Silvana Gaetani, professoressa ordinaria di Farmacologia della Facoltà di Farmacia e Medicina dell’Università Sapienza di Roma e Coordinatore senior dell’Early Career Pharmacologists Group della Società Italiana di Farmacologia – è quella delle terapie personalizzate, con un profilo di efficacia e di sicurezza sicuramente superiore rispetto al passato”.

“Non solo: anche le tecnologie avanzate di intelligenza artificiale di machine learning sono già una realtà. Esistono farmaci in sperimentazione frutto dell’utilizzo delle nuove tecnologie emergenti. Ma affinché ci sia un reale avanzamento della ricerca, ci deve essere una libera circolazione di idee e di ingegno. E il presupposto è la possibilità per i ricercatori di formarsi a livello globale, arricchendo la propria esperienza e la propria formazione”, conclude la farmacologa. Convinta che la promessa dell’intelligenza artificiale debba sempre “fare i conti con l’intelligenza umana”. Che resta fondamentale per dare un indirizzo etico alla ricerca.

Un momento dell’evento MPW. In primo piano Silvana Gaetani
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