L’ideale sarebbe trovare una soluzione uguale per tutti. Magari basandosi esclusivamente sui macronutrienti e sulle calorie. Tante ne entrano, tante se ne consumano. Il tutto, senza indurre impennate della glicemia o drastiche cadute dei valori del glucosio nel sangue. Anche in caso di patologie metaboliche o di sovrappeso. Se tutto fosse così facile, con una serie di numeri da mettere in fila, probabilmente pensare di mantenere la forma e controllare il metabolismo potrebbe essere davvero semplice.
E invece…. invece è tremendamente difficile, quindi c’è bisogno di soluzioni su misura per ogni persona capaci di rispondere davvero alle sue variabili, dalle ondulazioni dei flussi ormonali fino ai magici (e a volte anche non in senso positivo) misteri del microbiota, solo per citare due elementi chiave nel processo di assimilazione dei nutrienti. In alternativa, si potrebbe pensare ad una sorta di monitoraggio continuo, attimo dopo attimo che prometta l’esecuzione di test sul sangue, sulle feci e non solo, da ripetersi con grandissima frequenza.
Insomma, capire se il classico snack del pomeriggio, lo spuntino salato o il dolce sono destinati a provocare modificazioni più o meno significative per la glicemia appare ancora impossibile sul singolo individuo. E diventa quindi difficile trovare davvero consigli nutrizionali personalizzati, che possono aiutare i pazienti a gestire diabete, obesità e malattie cardiovascolari.
È in questo contesto di sfida che si inserisce un’opportunità nata dall’analisi di ciò che le persone mangiano, con l’utilizzo spinto dell’AI. L’obiettivo è poter prevedere cosa davvero serve e cosa possa mantenere controllate le oscillazioni glicemiche.
Un approccio personalizzato grazie all’intelligenza artificiale
E la proposta sta in un modello presentato sul Journal of Diabetes Science and Technology, dagli esperti dello Stevens Institute of Technology. L’approccio punta ad offrire, grazie a pochi dati, una previsione affidabile e precisa delle risposte glicemiche individuali. Il tutto, senza bisogno di analisi del sangue ripetute o test sulle feci o altri esami. Ma solo guardando ciò che si mangia.
“Fino ad ora la maggior parte della ricerca si è concentrata sui macronutrienti, come i grammi di carboidrati, anziché sugli alimenti specifici che le persone consumano – commenta in una nota per la stampa Samantha Kleinberg – Abbiamo dimostrato che analizzando le tipologie di alimenti è possibile fare previsioni estremamente accurate con molti meno dati”.
Gli esperti guidati dalla Kleinberg hanno esaminato due set di dati che includono sia diari alimentari dettagliati sia dati di monitoraggio continuo della glicemia per quasi 500 persone con diabete (sia di tipo 1 che di tipo 2) residenti negli USA e in Cina.
Utilizzando database alimentari esistenti e ChatGPT, hanno classificato ogni pasto in base al contenuto di macronutrienti e hanno anche sfruttato la struttura degli alimenti per distinguere distinguere tra alimenti nutrizionalmente equivalenti. Grazie ad un algoritmo su misura che ha sfruttato sia i dati nutrizionali che le caratteristiche degli alimenti, oltre ad alcuni dettagli demografici, il team è stato in grado di prevedere la risposta glicemica di ciascun individuo a ciascun alimento con praticamente gli stessi livelli di accuratezza riscontrati in studi precedenti che includevano dati dettagliati sul microbiota e altre informazioni difficili da raccogliere.
Il rebus della glicemia
Il monito che viene dalla ricerca è chiaro. Quando si parla di glicemia, c’è in gioco molto più dei soli macronutrienti, come lipidi carboidrati o proteine. Non solo. Concentrandosi sui tipi di alimenti, il team è stato anche in grado di esplorare le variazioni individuali nelle risposte glicemiche.
“Poiché le persone consumano gli stessi pasti più e più volte, i dati ci offrono visibilità sul modo in cui le risposte individuali a specifici alimenti cambiano nel tempo”, commenta la Kleinberg.
Il nuovo modello è risultato anche sufficientemente potente da prevedere le risposte glicemiche di un individuo in base a dati demografici, senza bisogno di un training personalizzato basato su diari alimentari o altri dati personalizzati. Di conseguenza, i medici potrebbero potenzialmente utilizzare il modello per offrire consigli nutrizionali durante un primo colloquio con un paziente, senza la necessità di un laborioso diario alimentare o di test invasivi. Insomma, si apre una nuova strada per un’alimentazione davvero personalizzata, anche senza magari eccedere con controlli ematochimici e test in serie per controllare cosa avviene o non limitarsi solo a computi calorici. Perché non siamo tutti uguali. E, alla fine, aveva ragione Feuerbach. L’uomo è ciò che mangia.