PNNR, lettera aperta: interventi sociosanitari sotto unica guida

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Anche il PNRR, come l’intera programmazione sociale e sanitaria degli ultimi vent’anni, affida alle politiche sociali e sanitarie compiti sostanzialmente convergenti, auspicandone l’integrazione nel rispetto dell’unitarietà e della centralità della persona. Si tratta di una strategia che ha mostrato ampi limiti applicativi. Riteniamo che la realizzazione del PNRR fornisca una straordinaria occasione per porre mano alla riforma strutturale del maggior ostacolo al buon funzionamento del welfare territoriale italiano: la persistente frattura tra sociale e sanitario. Ciò avviene anche in quelle aree che, per evidenza scientifica e dettato normativo, sono caratterizzate dalla inscindibilità degli apporti professionali sanitari e sociali e dalla indivisibilità dell’impatto sugli esiti.

Sono oltre 3,1 milioni in Italia le persone che presentano limitazioni, a causa di problemi di salute, nello svolgimento di attività abituali e ordinarie: sono persone anziane, con disabilità, persone con problemi di salute mentale e/o dipendenze, o con disturbi del comportamento, che hanno bisogno di progetti personalizzati di intervento sul piano terapeutico, riabilitativo, assistenziale, tutelare. Gli atti normativi nazionali e regionali riconoscono questo dato e sottolineano l’importanza di promuovere l’integrazione sociosanitaria a livello istituzionale, gestionale, professionale, disciplinando il reciproco coinvolgimento di Enti Locali e AA.SS.LL. nella programmazione e nella valutazione dei servizi sociosanitari.

È tuttavia illusorio – e la realtà lo dimostra – pensare che l’impulso all’intervento attivo ed integrato, proveniente dal D.Lgs 229/99, dalla L. 328/00 e dai LEA, possa essere recepito e adottato in maniera abituale da servizi sanitari e sociali strutturalmente organizzati e gestiti in maniera autonoma e separata. La parcellizzazione e la separazione degli interventi e una rigida delimitazione delle competenze sono favorite dall’assenza di una programmazione unica nazionale e regionale, dall’accumularsi di provvedimenti legislativi a favore di gruppi in grado di esprimere maggiore visibilità e pressione, da criteri di valutazione del bisogno non sempre coerenti. Inoltre, ai LEA Sanitari (che includono gli interventi sociosanitari) non corrispondono i LEA delle Prestazioni Sociali; le fonti di finanziamento – specie nel settore sociale – sono incerte, e la ripartizione delle rispettive quote di spesa col settore sanitario è fonte di elevata conflittualità.

Crediamo pertanto che la definizione di una delega per il governo unitario di tutta l’area dell’integrazione sociosanitaria, a partire dalla assegnazione delle competenze nei dicasteri del prossimo Governo, sia una delle priorità da prevedere per procedere verso le riforme necessarie al buon uso delle risorse europee. Potrebbe in questo modo assumere carattere di ordinarietà l’uso di strumenti – come il Budget di Salute, molto presente nell’attività legislativa dell’ultimo anno – che mirano a comporre a valle la frattura esistente tra i due sistemi a monte. Se il Covid ci spingerà a rivedere le modalità con cui è stata sinora gestita l’integrazione sociosanitaria e a intervenire sui punti deboli che la crisi ha evidenziato la tragedia pandemica non sarà accaduta invano.

Fabrizio Starace1, Pietro Vittorio Barbieri2, Antonio Gaudioso3, Cristiano Gori4, Enrica Amaturo5, Enrico Giovannini6

1Presidente Società Italiana Epidemiologia Psichiatrica, Membro del Consiglio Superiore di Sanità

2Vice-Presidente Gruppo 3, Comitato Economico Sociale Europeo

3Segretario Generale di Cittadinanzattiva

4Professore Ordinario di Politica Sociale, Università di Trento

5Professore Ordinario di Sociologia, Università di Napoli Federico II

6Professore Ordinario di Statistica Economica, Università di Roma Tor Vergata, Portavoce Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile

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