Lockdown subito? Ciccozzi: Seguire il modello israeliano

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Mentre da più parti si continua ad invocare in Italia un lockdown duro di qualche settimana, per frenare la corsa delle varianti di Covid-19 e riprendere il tracciamento, c’è chi è scettico di fronte a questo approccio. “Il modello israeliano ci insegna che il lockdown, per essere davvero utile, deve essere accompagnato da una massiccia campagna di vaccinazione. E noi i vaccini non ce li abbiamo“, sottolinea Massimo Ciccozzi, responsabile dell’Unità di statistica medica ed epidemiologia molecolare dell’Università Campus BioMedico.

“Intanto non bisogna aver paura delle varianti: un virus a Rna fa tante mutazioni e può creare varianti che lo favoriscono evolutivamente. E’ accaduto con la variante inglese, quella brasiliana e quella sudafricana, ma in realtà era accaduto già. La prima variante, che rendeva il virus più contagioso, ce l’avevamo in casa dai primi di febbraio scorso. Poi chiudere tanto per farlo non mi vede d’accordo: il lockdown è un’arma importante che va usata dopo che abbiamo fallito con i mini-lockdown chirurgici a livello locale, dove ci sono i focolai. Lì dobbiamo fare una bolla dove nessuno entra e nessuno esce. Ma soprattutto lì si dovrebbe vaccinare tutti”.

“La chiusura totale la fai quando vedi che la situazione è sfuggita di mano, e ora non è così. Ma soprattutto la fai quando nel frattempo puoi vaccinare in modo importante. Così adotti un approccio che mostra alle persone che si tratta davvero dell’ultimo sforzo, come è stato fatto in Israele. Gli italiani sono stanchi, spaventati. E l’Italia non è tutta nelle stesse condizioni, ecco perché chiudere tanto per chiudere per me non ha senso. Anche perché il primo lockdown di due mesi non ha azzerato il virus: ricordiamolo. Mentre l’approccio israeliano sta dando risultati di cui tenere conto”. Tanto che Israele inizia a riaprire.

Il nodo resta quello dei vaccini. E ora anche in Italia si dibatte sul tanto vituperato (finora) metodo inglese, ossia dare la prima dose di vaccino al maggior numero di persone possibile e poi (con calma) procedere ai richiami.

“Questo approccio è interessante per AstraZeneca – commenta Ciccozzi Ma vorrei precisare che normalmente la prima dose serve a stimolare gli anticorpi a memoria corta, che poi vanno via in poco tempo. In pratica, serve ad accendere il motore del sistema immunitario. La seconda dose è quella che determina le cellule a memoria più lunga, che ci proteggono nel tempo. Le due dosi vanno fatte, ma la distanza che intercorre si determina grazie agli studi clinici. Ne abbiamo uno di AstraZeneca che ci dice che se la seconda dose viene somministrata a maggior distanza dalla prima si riesce ad avere una protezione maggiore: dopo 3 mesi si ha un 81%, mentre a 22 giorni siamo al 63%. Dunque tutto sommato questo approccio vale con AstraZeneca, ma per gli altri vaccini? Occorre fare uno studio: potrebbe essere una strategia per evitare colli di bottiglia, in attesa delle dosi. Ma ricordiamo che questi sono vaccini che prevedono una doppia somministrazione, da protocollo. Dunque una sola non basta. Tra l’altro non sappiamo per quanto tempo si è protetti dopo la prima”.

Secondo l’esperto occorre rivedere anche alcuni elementi della strategia italiana anti-Covid. Nel mirino di Ciccozzi l’uso dell’ormai celebre (e temuto) Rt, “un sistema che consente di prevedere la circolazione del virus, ma che ha numerosi difetti”. Alla questione l’epidemiologo, insieme ai colleghi Antonello Maruotti (Libera Università Maria Ss Assunta) e Fabio Divino (Università del Molise), ha dedicato un’analisi in uscita sul ‘Journal of Medical Virology‘.

L’Rt, ovvero il numero medio di casi generati da un individuo infetto in una popolazione completamente suscettibile, “nella strategia del decisore non viene utilizzato solo per descrivere il quadro generale della diffusione dell’epidemia, ma è usato anche come strumento per pianificare e organizzare interventi di restrizione sociale ed economica. Siamo fortemente convinti che questo uso di Rt sia improprio e molto rischioso. In tal senso, riteniamo che la stima di Rt sia da adottare con molta cautela e soprattutto coinvolgendo esperti del settore nel processo decisionale”, sottolineano gli autori nella loro analisi.

“Intanto – spiega Ciccozzi – si fa una previsione oggi sulla base dei dati di una settimana fa. Poi la scelta della finestra temporale comporta errori di fondo a livello statistico. Insomma, le stime di Rt possono essere distorte e in ritardo significativo rispetto all’evoluzione del processo epidemico. Ma, soprattutto, le stime di Rt sono utilizzate ampiamente oltre la loro reale interpretazione, in modo del tutto inappropriato. Ecco perché alla fine dei giochi l’Rt sembra un ballerino che danza a seconda della musica che il direttore d’orchestra vuole suonare”. Un’immagine poetica ma la sensazione è fastidiosa, in effetti. “Bisogna usare indicatori diversi per definire le zone in cui attivare le restrizioni”, chiosa l’epidemiologo.

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