La sostenibilità nei sistemi di Welfare

WELFARE
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Lo scenario in cui operano i sistemi di welfare dei Paesi ad alto tasso di sviluppo è interessato da profondi cambiamenti con cui bisogna necessariamente misurarsi. La rilevanza, l’intensità e la varietà delle dinamiche presenti nello scenario disegnano un insieme di minacce e di opportunità. Il viraggio demografico ha ridisegnato la struttura dei bisogni e della domanda, i sistemi sociosanitari di oggi e del prossimo futuro dovranno misurarsi sempre più con prevalenze legate alla cronicità, che richiedono una presa in carico complessiva e continuativa. La rivoluzione comunicativa ha fatto evolvere il rapporto medico paziente, quest’ultimo sempre più consapevole e partecipe del proprio percorso di cura.

Lo scenario competitivo, profit e non profit, l’introduzione di logiche macro e microeconomiche incidono in maniera decisiva nel modificare i sistemi di welfare. La Sanità ha probabilmente vissuto con maggior intensità tali e tanti cambiamenti, tutto questo all’interno di una forte rivisitazione dell’autonomia regionale: la regionalizzazione, il decentramento, il federalismo hanno rimodulato competenze, responsabilità e livelli di autonomia, nuovi assetti sono ipotizzabili alla luce di nuovi orientamenti politico istituzionali. Il discontinuo alternarsi ed intrecciarsi di tanti fattori individua ciò che, in un una sola parola, definiamo complessità.

POI E’ ARRIVATO COVID – L’evento pandemico che sta minacciando da vicino il genere umano, impone ulteriori riflessioni. Ai driver della complessità si aggiungono altre dimensioni: l’immediatezza delle decisioni, la ineluttabilità di visioni sistemiche, decisivi cambi di paradigma. Di più grave di una crisi c’è solo non imparare dalla crisi, diceva qualcuno. Questa crisi, tutt’altro che superata, impone una vision che vada oltre molte delle nostre certezze pregresse. Ci costringe a pensare contemporaneamente dentro la crisi, e provare ad immaginare, anticipare il fuori dalla crisi.

Guardando dentro, mentre abbiamo speso le nostre impreparate energie nel trattare al meglio i pazienti Covid, solo in Italia abbiamo saltato un milione e mezzo di screening oncologici, non abbiamo agito in prevenzione primaria e secondaria delle cardiovascolari, rallentato sicuramente la presa in carico della cronicità. La prossima pandemia sarà il cancro, e non solo, provocazione troppo facile da prevedere se non fosse anche drammatica.

I perimetri logici entro cui abbiamo finora disegnato le nostre organizzazioni assistenziali vanno profondamente rivalutati e ridisegnati, alla visione dicotomica Ospedale e Territorio dobbiamo sostituire l’enfasi sul percorso, che sfuma i confini tra le proprietà amministrative delle Aziende Sanitarie. Avevamo diviso il mondo in Ospedale e Territorio, sono 40 anni che parliamo di integrarli, inconsapevoli di quanto i previsti meccanismi di finanziamento e remunerazione incrementino la frammentazione. Abbiamo cambiato la denominazione dei nostri ministeri da Sanità a Salute, continuando però a perseguire soltanto la sanità. Forse non ci siamo accorti che sanità e salute non sono la stessa cosa, continuando finanziare la sanità, inconsapevoli attori della medesima confusione interpretativa.

Oggi torniamo a parlare di medicina di prossimità, di territorializzazione, e iniziamo a domandarci quanto e come l’informatica nella sua accezione più ampia possa aiutarci, dalla telemedicina, al teleconsulto, alla digital health. L’approccio alla complessità diventa approccio alle complessità, imponendoci nuovi schemi di pensiero.

Le questioni critiche evidenziate sostanziano la necessità di ritarare le traiettorie di sviluppo e la direzione da imprimere alla riqualificazione del Ssn e dei Ssr.
Si ritiene opportuno individuare traiettorie, processi di innovazione, opzioni gestionali capaci di ridurre la portata della dicotomia possibile tra complessità e sostenibilità di un moderno sistema di welfare, capace di leggere i bisogni sociosanitari di una popolazione e di offrire prospettive operative ed aree di intervento concrete. Le aree indagate riguardano due dimensioni, apparentemente differenziate tra loro, in realtà profondamente raccordate:
la dimensione dell’appropriatezza; la dimensione dei meccanismi di remunerazione/finanziamento. Tanto abbiamo discusso e condiviso sul tema della appropriatezza . Costruendo su quanto imparato finora dobbiamo provare a ripensare la dimensione della remunerazione e del finanziamento.

I SISTEMI DI REMUNERAZIONE – Gli attuali sistemi di remunerazione per prestazione rischiano di non essere più in grado di garantire l’equo soddisfacimento dei bisogni complessi che il viraggio demografico/epidemiologico ci pone di fronte. La spinta inflattiva sui volumi di produzione indotta dai sistemi di remunerazione a tariffa per prestazione porta a livelli incrementali di spesa – e di costi – non sempre né facilmente collegabili a livelli incrementali di salute: la valorizzazione della prestazione utilizzata come proxy per la certezza della cura della malattia ci risulta una modalità non più in grado di contribuire alla sostenibilità dei nostri sistemi.

Si determina infatti una dicotomia tra gli obiettivi di sistema – la salute – ed il sistema di finanziamento a prestazione che, in qualche modo, finanzia la malattia. Fin quando i due drivers resteranno dicotomici, il sistema non solo ci costerà sempre più, ma sempre più rischierà di allontanarsi dagli obiettivi che invece dichiara di voler raggiungere. La soluzione in questi casi spesso vira verso meccanismi quali i tetti di spesa per produttori, che nulla contengono quanto a mix e quindi a valori in qualche modo predittivi dello stato di salute delle popolazioni di riferimento, o altri approcci comunque di tipo finanziario puro che rischiano di esser privi di valore aggiunto rispetto agli obiettivi di salute.

Negi attuali modelli di remunerazione, infatti, la ricchezza del sistema è rappresentata dai malati. Più ci sono malati, e più malati sono i malati – le complicazioni in genere sono maggiormente remunerate – maggiore è il livello di finanziamento. Bisogna fare in modo che la ricchezza del sistema sia rappresentata dalla salute: questo garantisce la sostenibilità. Il sistema di finanziamento per quota capitaria contiene in sé questo driver, ma non riesce a disinnescare la pressione sui volumi di produzione generata dal meccanismo di remunerazione a prestazione. E’ evidente come un cambio di paradigma di questo tipo imponga traiettorie di sistema. E’ un po’ come la logica dell’antincendio: se continueremo a remunerare gli attori del processo per il numero di incendi spenti, la convenienza sarà rappresentata dagli incendi; se finanziamo gli attori per aree di territorio libere da incendi, i driver sono di tutt’altro tipo.

Dobbiamo passare dalla sanità dei consumi alla sanità degli esiti. Bisogna pertanto uscire dalla logica secca di remunerazione a prestazione, ricercando di proporre meccanismi di finanziamento e remunerazione collegati agli outcome, che finanzino il raggiungimento di obiettivi di salute di volta in volta condivisi e la partecipazione ai percorsi individuati come gold standard: quindi indicatori di processo e di outcome, e non più soltanto di volumi di prestazioni. Forse in tal modo riusciremo ad evitare che le complessità crescenti, comunque finanziate, spazzino via i nostri sistemi di welfare.

E ALLORA? – Non abbiamo soluzioni prederminate, se una cosa ci ha insegnato il Covid è che da soli non si va da nessuna parte. Avevamo già una pandemia, il cancro ad esempio, con più di 13 milioni di morti l’anno. anzi più pandemie, la malattie cardiovascolari, e abbiamo continuato ad agire frammentati. Da questo momento, grazie all’opportunità di Fortune Italia Health, apriamo il dibattito, aperto, continuo, costante. Stimoliamo idee, confronto, best practice e proviamo, insieme, ad anticipare il futuro.

Attilio Bianchi, direttore generale Irccs Giovanni Pascale Napoli

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