Vaccini Covid, la rivincita del modello inglese

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Troppo veloci nell’autorizzare i vaccini anti-Covid. Troppo arditi nel decidere di vaccinare il maggior numero di persone possibile, anche a costo di dilazionare la seconda dose. Dopo le pesanti critiche ricevute nei mesi scorsi per un approccio ai vaccini contro Covid-19 giudicato un po’ avventuroso, per il modello inglese questi sono i giorni della rivincita. A partire dai numeri: più di 18 milioni di persone hanno ricevuto almeno la prima dose. La campagna va a vanti a spron battuto. E a colpire sono anche i dati relativi all’efficacia del (tanto criticato) vaccino Oxford-AstraZeneca negli anziani.

Una scommessa vinta, quella della Gran Bretagna, che corre da sola dopo Brexit? “Di fronte all’ipotesi di vaccinare il più possibile, anche a rischio di dilazionare la seconda dose, all’inizio io stesso ero stato cauto”, ricorda Roberto Cauda, ordinario di Malattie infettive all’Università Cattolica del Sacro Cuore e direttore dell’Unità operativa di Malattie infettive della Fondazione Policlinico Gemelli Irccs di Roma. “E questo perché su un vaccino nuovo ritenevo fosse insidioso cambiare le regole del gioco in itinere, senza avere i dati di una sperimentazione. In effetti, come succede nel mondo scientifico, gli inglesi hanno fatto questa sperimentazione facendo un po’ una challenge. Ebbene, in questo modo si è capito, in particolare nel caso di AstraZeneca, che la seconda dose può essere fatta con una dilazione fino a 12 settimane con pari efficacia rispetto ai 29 giorni del protocollo iniziale. E 12 settimane sono un tempo abbastanza lungo, che può dare un certo respiro alla campagna vaccinale“.

“Su Covid-19 – riflette Cauda – c’è ormai una ricchezza enorme di produzione scientifica: credo siano usciti oltre 100mila articoli, accessibili liberamente in tutto il mondo. Ebbene, voglio ricordare lo studio pubblicato sul New England Journal of Medicine in Israele sui vaccini Pfizer: si è visto che dopo la prima somministrazione c’è stata una copertura piuttosto importante per tutti gli endpoint: ridurre l’infezione, la malattia sintomatica, le forme gravi di Covid, i ricoveri in terapia intensiva e da ultimo anche i decessi”.

Dunque si potrebbe dilazionare la seconda dose anche per questo siero? “In realtà su questo si discute molto, perché mentre su AstraZeneca i dati ci sono, su Pfizer e Moderna non ci sono ancora. Dunque non si può stabilire con certezza. Ma se decliniamo ciò che sappiamo a livello europeo, e AstraZeneca è in grado di fornire i vaccini con regolarità, dilazione le due somministrazioni di 3 mesi potrebbe dare un respiro importante alla campagna vaccinale“.

Gli stessi specialisti, però, su questo tema non sono concordi. “Sempre sul New England Journal of Medicine c’è stato un dibattito tra due esperti di orientamento opposto, per decidere se ritardare la seconda dose di vaccino contro Sars-CoV-2 per destinare la prima dose a un maggior numero di persone. Un argomento importante che viene menzionato è quello della credibilità di fronte all’opinione pubblica: cambiare strategia vaccinale potrebbe essere deleterio ai fini dell’accettazione del vaccino”. E suscitare dubbi negli esitanti.

“Occorre dare un’informazione chiara, e spiegare perché questo approccio non è un ripiego. Esiste anche un articolo sulla dilazione del vaccino Pfizer apparso su Lancet. Ebbene, gli autori fanno notare che differire la seconda somministrazione di vaccino BNT162b2 (Pfizer) non è una scelta supportata da evidenze scientifiche, a differenza che per il vaccino AstraZeneca”.

Quanto al pericolo delle varianti, che preoccupano anche nel nostro Paese, “dobbiamo ricordare che quanto più vaccini facciamo, tanto più ostacoliamo la circolazione delle varianti e il rischio che ne emergano di nuove. E questo ce lo dice l’Organizzazione mondiale della sanità”, conclude l’infettivologo.

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