Covid, Nello Martini: I nodi della campagna vaccinale

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Dalla raccomandazione di riservare il vaccino anti-Covid di AstraZeneca prima fino a 55 e poi a fino 65 anni, che “ha condizionato l’intero piano vaccinale”, alla performance dell’Ema (Agenzia europea dei medicinali), in costante ritardo rispetto alle agenzie omologhe in Usa e Gb. Dall’autarchia vaccinale, alla vulgata che vuole vaccini contro Covid-19 di serie A e di serie B. Il fondatore ed ex direttore generale dell’Agenzia italiana del farmaco Nello Martini, oggi presidente della Fondazione non a scopo di lucro Ricerca e Salute (ReS), fa il punto sulle criticità della campagna vaccinale contro Covid-19 in Italia. Suggerendo alcune possibili soluzione, a partire dal ruolo chiave dei medici di medicina generale e dei farmacisti.

A livello regionale, ma anche nazionale, si segnalano delle criticità relative alla campagna vaccinale. I criteri di selezione delle categorie da vaccinare sono corretti?

Nel Piano nazionale vaccinale anti Covid-19 del ministero della Salute è prevista una fase iniziale con la vaccinazione di operatori sanitari e socio sanitari, ospiti dei presidi residenziali (Rsa) e over 80 anni. Nelle fasi successive si è previsto di vaccinare le persone estremamente vulnerabili, che comportano un rischio particolarmente elevato di forme gravi o letali di Covid-19, a seguire le persone dai 70 ai 79 anni e la popolazione con almeno una comorbidità cronica. Mentre la fase iniziale e le relative priorità risultano ben definite e chiare, le fasi successive si basano su alcuni criteri, scientificamente corretti ma molto discrezionali nella applicazione. Chi stabilisce gli algoritmi di estrazione delle popolazioni vulnerabili con comorbilità, chi fa gli elenchi per Regione e per Asl, per residenza o per presenza? Quello che si sta verificando è che ogni Regione fa da sé sui criteri, con diverse modalità di prenotazione, con differenti calendari e con velocità e modalità logistiche estremamente differenziate a cui si aggiungono le pratiche burocratiche legate alla compilazione dei moduli. Ma poiché la vaccinazione comporta di poter evitare il ricovero ospedaliero e ridurre mortalità, le diseguaglianze tra Regioni, pongono rilevanti problemi di equità e di appropriatezza di accesso. La vaccinazione per fasce di età rimane il criterio più semplice, trasparente ed equo.

È forte la percezione di vaccini di serie A (efficaci e costosi) e vaccini di serie B (più economici ma meno potenti). Si tratta di una percezione corretta? Cosa l’ha alimentata?

La percezione crescente tra la gente e le affermazioni apparse sulla stampa scientifica e laica, che esistano vaccini di serie A (efficaci e costosi) e vaccini di serie B (meno efficaci e meno costosi), risultano pericolose e sbagliate. Tali affermazioni, infatti, si basano esclusivamente sulla percentuale di efficacia di prevenzione dall’infezione dimostrata negli studi registrativi dei singoli vaccini rispetto al placebo. Ma non si basano su studi comparativi tra i diversi vaccini che, peraltro, sono stati testati su popolazioni diverse dal punto di vista epidemiologico. Inoltre non si tiene conto che i risultati delle sperimentazioni cliniche non possono essere direttamente trasferiti come tali, ma devono essere verificati nel tempo nella reale pratica clinica. Infine, non si è sottolineato a sufficienza che tutti i vaccini disponibili sono parimenti ed egualmente efficaci nella riduzione dei ricoveri e della mortalità per Covid-19, che rimane l’obiettivo fondamentale per uscire da questa fase della pandemia. La percezione e le affermazioni sulla diversità dei vaccini disorientano i cittadini e gli operatori sanitari, creano situazioni di rifiuto di alcuni vaccini e alimentano le posizioni negazioniste dei no-vax.

La decisione di limitare l’utilizzo del vaccino AstraZeneca prima fino a 55 e ora fino a 65 anni è condivisibile? Non si rischia di rallentare la campagna, anche alla luce dei dati che arrivano dall’estero (Scozia e Israele)?

La decisione di Aifa di combinare l’autorizzazione all’uso in Italia del vaccino AstraZeneca (approvato da Ema per tutte le età) con la “raccomandazione” della somministrazione ai soggetti fino ai 55 anni (limite poi portato a 65) ha creato evidenti e rilevanti ripercussioni. Infatti, la raccomandazione è stata letta e interpretata come un divieto alla somministrazione nella popolazione anziana (con età superiore a 65 anni) e ha finito per contribuire ad alimentare la percezione dell’esistenza di differenze di efficacia tra i vaccini disponibili. Infine, ha escluso la medicina generale dalla vaccinazione degli over 80 e della popolazione tra 65 e 80 anni con l’unico vaccino non sottoposto alla catena del freddo, condizionando l’intero piano vaccinale.

In che modo, allora, ottimizzare il contributo dei medici di medicina generale e dei farmacisti alla campagna vaccinale?

In una fase iniziale, a causa della disponibilità di vaccini collegati con la catena del freddo per la vaccinazione degli operatori sanitari, degli ospiti delle Rsa e degli over 80, si è fatto riferimento al personale ospedaliero, oberando ulteriormente strutture al limite del collasso, contrariamente al concetto di Sanità e prevenzione territoriale e di prossimità.
In un quadro di dosi di richiamo, delle varianti, di nuove vaccinazioni negli anni, di nuovi eventi pandemici, è necessario strutturare e mantenere una grande velocità e capacità di vaccinazione basata sulla medicina generale derivante da una scelta forte istituzionale e politica. In Italia i medici di medicina generale (inclusa la guardia medica) sono circa 46.000: utilizzando al meglio il contratto firmato con la Medicina generale, si concretizza la possibilità che ogni medico di famiglia possa vaccinare ogni giorno da 10 a 20 persone, che significa la possibilità di arrivare a somministrare circa mezzo milione di dosi al giorno, aumentando di 5 volte l’attuale velocità di vaccinazione.

Oggi viaggiamo ad una velocità molto ridotta di circa 100.000 dosi al giorno, del tutto incompatibili con gli obiettivi di vaccinare entro luglio il 70% della popolazione europea.
A breve, con la disponibilità dei vaccini ‘monodose’ e del potenziamento della produzione, il vero problema sarà costituito dalla logistica e dalla velocità ed efficienza di vaccinare. La Medicina generale è la vera e unica struttura che può garantire tale velocità e ampiezza di vaccinazione nell’ambito di un progetto Paese, senza gravare sul personale dell’Ospedale, come dimostrato ampiamente negli anni con la vaccinazione anti-influenzale.

Inoltre in Italia vi sono 18.500 farmacie distribuite capillarmente su tutto il territorio nazionale e anche nelle zone rurali che non hanno neppure un presidio fisso della medicina generale. Anche in questo caso prevedendo 10 dosi di vaccino/die per ogni farmacia si avrebbero 185.000 dosi somministrate ogni giorno.

L’Italia fatica a ottenere vaccini e non può dipendere esclusivamente dall’estero. Ma l’ipotesi di un’autarchia vaccinale è praticabile? Quali sono i tempi? Quali le priorità per portare in Italia alcune, se non tutte, le fasi di produzione? E in che modo intervenire per accelerare la fornitura di vaccini anti-Covid?

Come per le mascherine anche per i vaccini, cioè per presidi o medicinali essenziali, di utilità primaria e salvavita, l’Italia non può dipendere esclusivamente dalle forniture di altri paesi e dai contratti europei. In questo senso è stata sostenuta da più parti, e dallo stesso ministro della Salute che, in caso di emergenza sanitaria di questa natura, non regge l’istituto della proprietà esclusiva dei brevetti, e risulterebbe necessaria il ricorso alle licenze obbligatorie. Si tratta in ogni caso di un processo lungo nei tempi, oggetto di contenzioso e che creerebbe contrapposizioni non utili; peraltro i vaccini non sono come i farmaci chimici che in presenza di una licenza obbligatoria possono essere rapidamente immessi sul mercato, perché i vaccini presentano una intrinseca complessità del processo biotecnologico.

In questo senso dovrebbero essere concertate dal Governo delle soluzioni concrete e rapide per cui le aziende detentrici dei vaccini potrebbero cedere alle strutture industriali biotech presenti in Italia il bulk vaccinale per una attivazione dei bioreattori, ai fini della produzione dei vaccini in ogni caso in tempi non brevi. Contestualmente andrebbero finanziate e supportate le aziende e gli spin-off nazionali che investono in ricerca e sviluppo dei vaccini e contestualmente potenziare la capacità di confezionamento nei siti di produzione in Italia, inclusa l’attività di infialaggio.
Tenendo presente tutto il problema delle dosi di richiamo, delle varianti, dei nuovi vaccini attivi sulle varianti, delle immunità definita nel tempo e di possibili nuove infezioni e pandemie è necessario oltre alle iniziative di emergenza avere un progetto paese di medio e lungo periodo.

Tutto sommato il modello inglese di una dose al maggior numero di persone possibile si sta rivelando efficace. Che cosa ne pensa?

La strategia utilizzata in Inghilterra ha due principali debolezze: il livello di efficacia dimostrato ad oggi è stato ottenuto con due somministrazioni di vaccino; non è del tutto chiaro quanto e per quanto tempo una sola somministrazione può essere efficace. I
i vaccini proteggono dalle manifestazioni più severe di Covid-19, non dalla infezione in quanto tale. In caso di una sola dose ci potrebbe essere il rischio di una più elevata circolazione del virus in soggetti pauci o asintomatici, , soprattutto se la popolazione nel suo complesso non è stata ancora vaccinata in percentuali adeguate. Seppure con queste limitazioni, in una condizione in cui il virus e le sue varianti continuano ad accelerare e la vaccinazione risulta lenta e frammentata, il ricorso ad una sola dose appare essere una soluzione percorribile per rallentare il ritmo delle infezioni, anche perché eviterebbe di accumulare scorte di vaccini per la seconda somministrazione.

Infine per quale motivo l’Europa (e l’Ema) in questa corsa ai vaccini arriva sempre dopo GB, Usa e Israele? Qualcosa non ha funzionato?
L’Ema ha procedure di autorizzazione dei medicinali molto complesse e spesso caricate di aspetti burocratici, con numerosi passaggi, non sempre necessari, tra diverse commissioni e procedure standard. La mancanza di flessibilità (senza rinunciare ad elevati standard di qualità) unitamente alla frammentazione secondo step e sotto-commissioni fa sì che l’iter autorizzativo dell’Ema sia più lungo e meno efficiente rispetto a Uk, Usa e Israele.

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